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Una nuova legge elettorale può fare la differenza per terre oggi abbandonate

 
Gaetano Quagliariello

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Gaetano Quagliariello

Una nuova legge elettorale può fare la differenza per terre oggi abbandonate

La riforma elettorale non dovrebbe considerare solo il modo di tradurre i voti in seggi, ma determinare la consistenza della rappresentanza non solo sulla popolazione ma anche su estensione e importanza strategica dei territori

Venerdì 26 Maggio 2023, 13:59

14:01

Il disastro della Romagna ha prodotto tante analisi e alimentato tante polemiche in merito allo squilibrio climatico che ne sarebbe stato la causa scatenante. È invece passata sotto silenzio un’altra asimmetria che interseca il fenomeno del cambiamento del clima e che ne amplifica i rischi e la pericolosità. Mi riferisco allo squilibrio territoriale. A lungo si è acriticamente ritenuto, non solo nel nostro Paese, che le dinamiche dello sviluppo contemporaneo imponessero la concentrazione delle popolazioni in grandi agglomerati urbani per lo più collocati in prossimità delle coste e che, per questo, le aree interne dovessero rassegnarsi alla progressiva desertificazione. Questa tendenza in Italia è stata ulteriormente rafforzata dagli andamenti demografici - complessivamente disastrosi ma che lungo la dorsale che divide la parte tirrenica da quella adriatica, in molti casi sono addirittura terrificanti -, e dai fenomeni tellurici che nei primi due decenni del secolo hanno preso di mira in particolare i territori dell’Appenino centrale.

A un certo punto, però, ci si è accorti che la supposta ineluttabilità del fenomeno aveva un costo e che questo sta divenendo troppo elevato. Se intere parti di territorio restano sempre meno presidiate è facile comprendere quali possano esserne le conseguenze, sul piano sociale ma anche dal punto di vista della salvaguardia dell’ambiente.

È su quest’ultimo aspetto che in particolare vorrei concentrare l’attenzione. È innegabile che l’uomo, dimenticando di dover riconsegnare in buone condizioni alle generazioni future i luoghi nei quali ha vissuto, è stato causa di scempi paesaggistici e di veri e propri disastri ecologici. È altrettanto certo, però, che la natura per essere difesa e tutelata abbia bisogno di chi la curi e la valorizzi. Laddove non c’è antropizzazione, infatti, c’è spesso abbandono e l’abbandono porta al degrado.

Questa dinamica produce, tra l’altro, un riflesso politico. È di solare evidenza che la politica sia naturalmente portata a spendere le sue attenzioni e concentrare gli investimenti laddove vi sono più persone che possano beneficiarne: al di là delle convenienze elettorali, che spesso risultano decisive, ad un’analisi superficiale la circostanza potrebbe persino apparire razionale. Se non fosse che, in tal modo, si viene a creare una spirale perversa per la quale alcuni territori fragili, privati di attenzioni e finanziamenti, diventano sempre più fragili fino a quando la loro debolezza non esonda, finendo per coinvolgere anche e soprattutto le aree più popolose.

È esattamente quel che è accaduto in Romagna e quel che rischia di succedere altrove se non faremo tesoro di quanto successo. Non possiamo continuare a costruire un Paese a «geometria variabile», con alcune sue parti sovrappopolate e altre deserte. Non possiamo accettare che esistano paesi per soli vecchi, nei quali non si nasce più. Non possiamo pensare di continuare a sfavorire le «città medie» spesso site nelle aree interne, naturali punti di riferimento per paesi e borghi assai spesso di rara bellezza.

Se non verranno messe in campo politiche per ovviare a questi squilibri strutturali, le buone intenzioni non basteranno: passata la tempesta, i territori non presidiati torneranno ad avere attenzioni insufficienti, fino al prossimo disastro annunciato. Per questo il problema del ripopolamento delle aree interne deve divenire una priorità di ogni programma di riforma.

Ma perché ciò possa effettivamente accadere è necessario andare alla radice politica del problema, iniziando dalla riforma elettorale di cui tanto si discetta. Essa non dovrebbe considerare soltanto il modo di tradurre i voti in seggi; dovrebbe anche determinare la consistenza della rappresentanza non solo sulla base della popolazione ma anche su quella dell’estensione e dell’importanza strategica dei territori. Perché solo se le terre oggi abbandonate inizieranno ad essere presidiate, anche politicamente, l’attenzione nei loro confronti potrà oltrepassare l’impressione di un momento di eccezionale disperazione.

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