Sono passati tre anni da quando il 9 marzo 2020, a reti unificate, venne annunciato che il Paese sarebbe andato in lockdown e che la restrizione avrebbe riguardato tutti senza eccezioni e differenze, salvo quelle imposte dalle pubbliche necessità. Fu un grande shock collettivo; quella sera facemmo un salto nell’inimmaginabile.
Ebbe così ufficialmente inizio una vicenda destinata a cambiare la storia del mondo: essa per la dimensione planetaria che ha poi assunto, per le sue conseguenze socio-economiche e, purtroppo, per i morti che ha causato può essere messa sullo stesso piano della Prima e della Seconda Guerra Mondiale. Non tutti, però, sembrano esserne pienamente consapevoli. Dopo un triennio, nel nostro Paese, si sono infatti formati due partiti trasversali e contrapposti: uno lo si potrebbe denominare «è passata la nottata», l’altro «non è come prima». Il primo ritiene che la pandemia sia alle nostre spalle e che, per questo, sia inutile rivangarla; il secondo vorrebbe che con le sue conseguenze si facciano i conti fino in fondo.
«È passata la nottata» ha un programma più essenziale e un compito più facile: considera il problema solo sotto l’aspetto sanitario e, per quel che concerne il piano economico e ancor più quello politico, ritiene che si debba essenzialmente «restaurare»: tornare ai livelli di sviluppo e di crescita pre-Covid e rimettere in moto le dinamiche del sistema politico allora vigenti, ancor meglio se con i medesimi attori. Per il partito del «non è come prima» le difficoltà sono maggiori. Andare fino in fondo, infatti, non vuol dire stabilire quale virologo abbia visto meglio degli altri, magari attraverso l’indagine di un tribunale. Significa, piuttosto, prendere atto di come il Covid abbia scardinato modelli di sviluppo e stili di vita consolidati.
Innanzitutto è perciò necessario non assuefarsi al vivere in un Paese dove non si nasce più e che, per questo, ha una testa sempre più grande e un corpo sempre più gracile per sopportarne a lungo il peso. Se non ci sarà un inversione delle tendenze in atto, tra solo qualche anno l’insostenibilità del welfare, il rattrappimento del mercato del lavoro e la piaga sociale degli anziani privi di assistenza diverranno problemi irrisolvibili. Andare fino in fondo significa anche metter mano, finalmente, alle troppe differenze che esistono tra le diverse aree del Paese: ai guasti di uno sviluppo a doppia velocità, che propone sempre più spesso zone che si desertificano e che vengono abbandonate, mentre altre si disumanizzano perché troppo abitate.
Il partito del «non è come prima» dovrà poi proporsi di governare la vitalità economica che il post-pandemia ha determinato, riassorbendo le iniziative estemporanee e rimettendo al centro della crescita la logica del mercato. Questa può e deve essere corretta per esigenze di equità e giustizia, ma non deve mai essere negata. A tal fine servono misure legislative che rendano conciliabile la sacrosanta difesa dell’ambiente con la logica del profitto; si dovrà rendere la vita più facile a chi intraprende e per questo rischia; si dovranno gradualmente superare quei provvedimenti che, ignorando il contrasto tra gli interessi, hanno favorito lo spreco e qualche volta la truffa.
Qualcuno potrebbe obiettare: «vasto programma», quasi un libro dei sogni. Per quanto la memoria si faccia sempre più corta, però, non si dovrebbe dimenticare che il Pnrr è stato messo in campo proprio perché quel «vasto programma» venga realizzato. L’Italia, infatti, è stata tanto favorita dal Piano di ripresa e resilienza proprio perché essa possa affrontare e risolvere, tra le altre cose, l’atavico problema del Mezzogiorno, l’inverno demografico più rigido d’Europa, uno sviluppo minato da un debito pubblico troppo elevato.
Questa condizione di privilegio ci impone, pertanto, due responsabilità. La prima è più scontata: spendere bene soldi che in parte dovremo restituire. La seconda è altrettanto importante: saper creare intorno al Pnrr un clima di partecipazione. Se quei denari caleranno dall’alto come una manna, finiranno infatti per alimentare i tradizionali circoli viziosi tra chi fa politica e chi fa impresa. Se, invece, per diffondere i bandi, spiegarli, aiutare a rispondere in modo corretto si sapranno coinvolgere comunità, reti associative e Terzo settore; se si metteranno gli enti locali nelle condizioni di svolgere compiti sussidiari, a quel punto si creerà una diffusa consapevolezza della sfida in atto e si potranno anche avere più progetti tra i quali selezionare i migliori. Il Pnrr sarà così per l’Italia un’occasione veramente proficua, perché un Paese che intenda crescere per davvero deve saper coniugare sviluppo economico e senso civico. E solo se questo accadrà il partito del «non è come prima» avrà per davvero vinto questa partita.