«Non respiro. Non respiro». Lo disse 20 volte George Floyd prima di morire soffocato da un poliziotto a Minneapolis. Ecco perché mi ha devastato il video di una bambina di circa 8 anni - avevo più o meno la sua età quando lasciai l’Iran -. È una delle piccole alunne delle scuole femminili dove volutamente vengono rilasciati gas che attaccano le prime vie respiratorie, perché il regime iraniano non vuole che le donne studino e non vuole nemmeno che le donne vivano.
«Non riesco a respirare» dice la bambina e con dolore avverto quanto la storia si ripeta e comprendo ancora di più quanto l’istruzione sia l’arma più potente nelle mani delle donne. E non parlo solo dell’Iran, parlo di tutto il mondo. L’8 marzo? Se continuiamo a sottolineare questa giornata vuol dire che il traguardo della parità è ancora lontano e non solo in Iran o nel Sud del mondo. Ad ogni livello non c’è parità, ad esempio salariale, ad esempio per l’accesso alle politica.
Gli stereotipi sono a monte, quando si forma la coscienza femminilie. Sono quei genitori che dicono «non sei capace» a determinare donne che si sentiranno fragili per tutta la vita, che avranno sempre paura fino ad accettare che (per amore?) un uomo arrivi perfino ad ucciderle. Cosa è cambiato dalla preistoria quando le donne riassettavano le caverne e gli uomini uscivano a caccia per procurare cibo alla famiglia? «Non sei capace». Lo dicono sempre alle ragazze che progettino di studiare materie scientifiche, tecnologia, ingegneria, matematica. Dicono «ma il cervello femminile non è portato per i numeri». In Iran invece, le donne sanno che quella è la strada, che l’istruzione scientifica è la loro forza e la loro arma. Il mio Paese è governato dal regime da 44 anni. Il 97% delle donne è alfabetizzato, il 70% è laureato. E l’Ingegneria è la Facoltà più convintamente scelta dalle donne anche per la possibilità di avere una borsa di studio e scappare via.
In Iran la scuola superiore dura quattro anni, poi ce n’è un quinto al quale si accede solo per punteggio: le donne erano talmente più brave degli uomini che è stato necessario fissare delle «quote azzurre» per consentire anche a una certa percentuale maschile di accedere al quinto anno. Capite dunque perché il regime diffonda il gas nelle scuole femminili. Ma ancora una volta voglio credere e rilanciare lo slogan coniato dalle guerrigliere della resistenza curda alla fine del XX secolo: «Donna Vita Libertà». Combattiamo per la libertà ma anche per la vita. Combattiamo per poter «respirare» liberamente.