Fra le prime «rogne» che l’Italia deve affrontare nel 2023 c’è la ratifica del Trattato Mes, vicenda francamente grottesca che merita alcune precisazioni considerata la confusione esistente.
L’Accordo, il cui contenuto era stato negoziato dal governo Conte I, ha ad oggetto la riforma del, comunque, vigente Trattato di Bruxelles del 2 febbraio 2012, che istituì il Meccanismo europeo di stabilità (Mes), il cosiddetto Fondo Salva-Stati operante al di fuori del sistema istituzionale dell’Unione.
Esso ha la finalità di prestare assistenza finanziaria agli Stati in difficoltà, attraverso l’erogazione di prestiti e linee di credito. È fondato su un Consiglio di governatori formato dai Ministri delle Finanze dell’area dell’euro, che, salvo eccezioni, decide all’unanimità, e poi su un Consiglio di amministrazione. Certo, nei casi più seri lo Stato richiedente aiuto potrebbe essere sottoposto a un vero e proprio «commissariamento economico» (emblematico, ma unico, il caso della Grecia che aveva truccato i bilanci) la cui entità non è immune da alcune critiche dal punto di vista sia giuridico che politico. Bisogna tuttavia tenere a mente la necessità di un serio controllo delle notevoli risorse attribuite al fine di salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso. Tuttavia, parliamo, lo ribadisco, di un Ente del quale l’Italia fa già parte e del quale non ha mai ritenuto di utilizzare le risorse (e nessuno è, d’altronde, obbligato a farlo).
La riforma riguarda principalmente la funzione di backstop per le banche in crisi, un paracadute finanziario nel Fondo di risoluzione delle banche ed elemento essenziale per la creazione dell’Unione bancaria fortemente auspicata dal nostro Paese per più ragioni. È poi prevista la possibilità di concedere prestiti precauzionali a Paesi colpiti da choc esogeni il cui debito sia giudicato «sostenibile». Si tratta di una sorta di polizza di assicurazione che con la sola propria esistenza dovrebbe essere sufficiente a placare i mercati. Per di più, viene rafforzato il ruolo della Commissione europea nel controllo dei vincoli successivi alla richiesta di «aiuto» derivanti dalla legislazione dell’Unione.
Tali modifiche sono in realtà migliorative, partendo dalla nascita del citato fondo bancario che protegge anche i risparmi dei cittadini. Inoltre, pure Paesi, oltre la Grecia, come Cipro, Irlanda, Portogallo e Spagna (che in passato avevano fatto ricorso senza drammi al Mes) non si sono posti alcun problema nel ratificarne la riforma proprio in quanto ritenuta utile. Per cui, le novità introdotte non paiono tali da ipotizzare rischi per l’Italia che comunque, e senza più il poderoso sostegno della Banca Centrale Europea, dovrà affrontare nel 2023 l'emissione netta sui mercati di titoli a medio-lungo termine fino a 500 miliardi.
Qualche avventato «leader» politico ha poi incredibilmente confuso lo strumento in questione con il Mes sanitario che, in piena crisi pandemica, era stato messo rapidamente a disposizione degli Stati membri (per l’Italia circa 37 miliardi) con prestiti a costo pressocché zero e senza alcuna condizione che non fosse quella di essere utilizzato esclusivamente a sostegno del sistema sanitario.
Conoscendo noi tutti le miserevoli condizioni in cui questo versa in Italia (pur essendo il quinto Paese al mondo per aspettativa di vita ci collochiamo solo al ventesimo posto nella classifica della spesa sanitaria pro-capite), la mancata utilizzazione di tale Fondo, sostenuta con considerazioni pretestuose e false, resta un vero mistero ed un grave errore. E, ad ogni modo, esso nulla c’entra con la ratifica in questione. Se mai il dibattito in atto avrebbe potuto sollecitare un opportuno ripensamento diretto a richiederne l’attivazione per almeno una parte delle risorse disponibili: tuttavia, salvo improbabili future decisioni, il 31 dicembre 2022, termine finale, è ormai trascorso.
Un’ultima considerazione. I contrari al ricorso al Mes sanitario sottolineavano la circostanza che nessun altro Paese membro l’avesse richiesto, sempre dimenticando il diverso stato sia del nostro sistema sanitario sia delle nostre finanze. Ma è singolare che, usando analogo metro di valutazione, non ci si chiede come mai tutti gli altri Stati dell’Eurozona (comprendendo ormai anche la Germania, dopo il via libera da parte della Corte suprema, e la Croazia che dal 2023 entra nell’euro) abbiano formalmente approvato la riforma.
E noi invece, dimenticando la solidarietà che ha permesso la nascita del Next Generation e l’arrivo di quasi 200 miliardi di euro, vorremmo impedire a tutti di usufruire dei vantaggi da essa prodotti. Scelte, temo, che rischiamo di pagare duramente in vista delle prossime decisioni sul Patto di stabilità. Alla fine, dopo inutili e deleteri virtuosismi verbali, il Parlamento nel nuovo anno non potrà che ratificare la riforma. È sempre attuale il noto aforisma di Flaiano: «La situazione politica in Italia è grave ma non è seria».