Sabato 06 Settembre 2025 | 06:58

Pandemia, guerra, crisi: l'Italia ha fatto un miracolo ma il Sud è ancora indietro

 
Gaetano Quagliariello

Reporter:

Gaetano Quagliariello

pandemia, guerra, crisi l’italia ha fatto un miracolo ma il sud è ancora indietro

I dati del Pil certificano che è stato l’unico Paese con una crescita costante. Nell’ultimo anno è anche diminuito il tasso di diseguaglianza e ancor più sensibilmente il rischio di povertà

Domenica 18 Dicembre 2022, 13:27

Il triennio 2020-2022 passerà alla storia del mondo per un doppio salto nel buio: prima la pandemia, poi la guerra. Una doppia crisi globale che ha portato con sé una impressionante recessione, una durissima crisi energetica, l’accelerarsi di un processo inflattivo che da tempo non si vedeva.

Non possiamo dire di esserci lasciati tutto alle spalle. Abbiamo però attraversato per ben due volte l’occhio del ciclone e possiamo almeno affermare senza timore di smentite che fin qui l’Italia non se l’è cavata male. In pochi ci avrebbero scommesso. E il risultato è ancora più lusinghiero se letto in chiave comparativa.

Alcuni dati essenziali. Al termine di quest’anno - indipendentemente da ciò che ci riserverà il quarto trimestre 2022 - l’Italia concluderà un biennio di crescita del Pil superiore al 10%. È l’unico grande Paese ad aver conosciuto in questo lasso di tempo una crescita congiunturale costante del proprio prodotto interno. Possiamo vantare il fatto di aver sopravanzato più rapidamente e con maggiore dinamismo il livello economico del periodo pre-pandemico. E, in tale contesto, nell’ultimo anno è anche diminuito il tasso di diseguaglianza e ancor più sensibilmente il rischio di povertà.

Questi dati non possono essere considerati un semplice «rimbalzo», come pure non pochi avevano paventato. Dietro vi è qualcosa di strutturale. C’è, in primo luogo, un settore manifatturiero che ha convertito in punti di forza quelli che agli esordi della globalizzazione apparivano fattori di debolezza: il prevalere di imprese medie o al più medio-grandi; l’eccellenza nelle produzioni di nicchia ad altissima caratterizzazione; l’organizzazione per filiere corte e distretti relativamente piccoli. Tutto ciò ha comportato elasticità e capacità di adattamento, e dunque la capacità da parte del sistema produttivo italiano di rispondere meglio alle crisi geopolitiche, alla correlata volatilità dei mercati internazionali, all’improvvisa carenza di materie prime. Si aggiungano gli effetti della spinta alla modernizzazione e alla digitalizzazione, prodotti dal successo di Industria 4.0. Si considerino i margini di crescita ancora non del tutto esplorati (e da ultimo almeno in parte sfruttati) del settore turistico. Si calcoli quanto, nonostante le traversie dei Superbonus, abbia fruttato la ripartenza dell’edilizia. E potremo iniziare a comprendere le ragioni per le quali, pur in un periodo storico quanto mai incerto, si inizia a parlare di «mini miracolo italiano».

Ma perché tutto questo non riesce a condizionare una narrazione sullo stato del Paese che resta a tinte cupe, venata da una insopprimibile nota pessimistica? Perché un indiscutibile successo è così poco reclamizzato e persino così poco rivendicato?

Potrebbe trattarsi di doverosa prudenza: di fronte a un inverno con l’incognita dei rincari in bolletta, con un’inflazione che non demorde e un PNRR in evidente ritardo è oggettivamente presto per cantare vittoria. Ma a me pare che al fondo del perdurante disfattismo vi siano almeno altre due ragioni e che la prima ci riguardi da vicino.

Il fatto è che l’indubbia fragilità della ripresa dipende in gran parte dal Sud: sta crescendo meno e le previsioni ci dicono che presto non crescerà affatto al punto che si paventa lo spettro di nuove povertà. Un paradosso, visto che molti dei punti di forza della ripresa italiana sembrano ben attagliarsi al Mezzogiorno. Da sempre, infatti, dimensione limitata delle imprese, filiere brevi e capacità di adattamento sono caratteri propri dell’economia meridionale. Si aggiungano i margini di crescita di settori quali il turismo e l’enogastronomia, e la propensione di questa parte d’Italia a strategie di diversificazione energetica, e diventa davvero difficile immaginare una recessione imminente. Eppure questa prospettiva è un fatto, così come è un fatto che nonostante dal Sud dipenda la stabilizzazione della ripresa dell’intero Paese, nessuna forza politica sia stata fin qui in grado di esprimere, sul punto, una strategia degna di questo nome. Anche per questo il «reddito di cittadinanza» conserva una immeritata centralità.

C’è poi una questione che attiene in generale al dibattito pubblico. Una politica ancora condizionata dalla stagione dei populismi non può consentirsi di diffondere speranza, fiducia, ottimismo; si trova assai più a suo agio con la diffidenza, la rabbia, la paura. Per superare questo stadio vi è bisogno di passare dalla propaganda ai fatti. Ma i fatti che iniziano a diventare evidenze sono in gran parte eredità di un governo unitario eppure «orfano», che nessuno dei principali schieramenti può o vuole rivendicare. I 5 Stelle l’hanno apertamente ripudiato. A sinistra vi sono forze che a quell’esecutivo si sono fieramente opposte (e il Pd nemici a sinistra preferisce non averne). Due dei tre partiti che compongono l’attuale maggioranza hanno contribuito a farlo cadere e hanno anche avversato in maniera strisciante le sue scelte di politica estera.

Si è così stabilito un altro paradosso. Il partito dell’attuale Presidente del Consiglio è stato il solo ad essersi opposto a Mario Draghi e ciononostante è stato percepito come quello più lealmente in continuità con il suo esecutivo, e non solo per l’atteggiamento assunto sulla guerra in Ucraina. In politica percezioni e sensibilità sono importanti anche se presto si consumano. Bisognerà comprendere se il governo in carica e colei che lo presiede sapranno superare lo stadio delle impressioni per condurre  la politica italiana verso una nuova fase post-populista. A tal fine non servono né aperte rivendicazioni né tantomeno proclami. Servono fatti e l’anno nuovo ci dirà se arriveranno. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)