La guerra in Ucraina registra, per l’ennesima volta, la paralisi delle Nazioni Unite nel perseguire l’obiettivo della pace. La causa va ricercata in un assetto istituzionale, figlio della fine della seconda guerra mondiale e frutto di un compromesso fra legittimità internazionale e realpolitik, che riconobbe ai vincitori il ruolo di membri permanenti del Consiglio di sicurezza (5 su 15) arricchendolo con l’esercizio del potere di veto. Si tratta di un sistema ormai ampiamente superato mentre sarebbe necessario ridisegnarne uno ben più efficiente e all’altezza del progetto di un nuovo ordine mondiale.
Per questa ragione, finora, si è verificata solo una presa di posizione politica da parte dell’Assemblea generale pur se con la sacrosanta condanna a grande maggioranza della brutale invasione dell’Ucraina da parte della Russia (oltre alla sospensione dal Consiglio dei diritti umani). Di più, pertanto, l’organizzazione universale con sede a New York non è in grado di fare, come d’altronde è già successo fin troppe volte nel corso dei decenni passati.
Tuttavia, la tragica pericolosità della guerra in atto chiede l’attivazione di strumenti eccezionali anche per rivitalizzare il ruolo di un’organizzazione nata proprio per assicurare la pace ma che la pace non riesce a garantire. Oggi è però necessario uno sforzo di fantasia diplomatica per rendere molto più forti ed incisivi i tentativi, da più parti posti in essere, per ottenere almeno il «cessate il fuoco». Ed allora per sfuggire alla certificazione di una conclamata inutilità l’Assemblea generale dovrebbe convocarsi in sessione speciale, come previsto dall’art. 20 della Carta delle Nazioni Unite, ma non a New York e probabilmente nemmeno a Ginevra nel Palais des Nations dell’Ufficio Europeo bensì in vicinanza dei luoghi del conflitto. Preferibilmente nella stessa Ucraina o almeno in uno degli Stati confinanti, dalla Bielorussia alla Polonia.
Qualsiasi possibile obiezione di carattere formale dovrebbe essere superata di fronte al grande valore simbolico e politico della presenza dell’intera Comunità internazionale in prossimità dei territori devastati dalla guerra. Sarebbe evidenziata la particolare gravità dello scontro in atto che, forse per la prima volta nella storia recente, rischia di produrre conseguenze disastrose e comunque ridisegnerà il quadro degli equilibri e della sicurezza internazionali. Infatti, il previsto ampliamento della Nato non solo a Paesi europei quali Svezia e Finlandia ma anche ai quattro alleati dell’Asia-Pacifico (Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda) - che nei documenti sono definiti «Ap4» (A per Asia, P per Pacifico) - pone un rischio non trascurabile. Esso potrebbe alimentare una forte contrapposizione Occidente contro Oriente in una perversa e progressiva abitudine alla tragica necessità della guerra.
Ed allora, a mio avviso, l’Assemblea generale dovrebbe riunirsi in permanenza, ma anche con un suo organo sussidiario (art. 22 della Carta), non per operare un’ulteriore condanna della Russia, incontrovertibile però già avvenuta e superflua sul piano pratico, bensì per porsi come diretto soggetto di mediazione. Probabilmente non avverrà nulla e invece l’Onu avrebbe disperato bisogno di un atto di vitalità nella salvaguardia del bene supremo della pace, dopo anni di inutili tentativi di riforma, per sopravvivere. Certo, sarà comunque impossibile cancellare le atrocità commesse nei confronti dei civili - che restano le vere vittime incolpevoli di ogni guerra - ma anche dei militari quando si dimentica del tutto che all’interno di una divisa esiste sempre una persona. Non avremmo mai immaginato di rivedere le atrocità di forni crematori, deportazioni, fosse comuni, stragi di bambini, stupri. Le responsabilità politico- giuridiche derivanti dall’aver scatenato una guerra in violazione di ogni norma del diritto internazionale e soprattutto in palese spregio della vita e della dignità umana dovranno essere sottoposte al giudizio dei tribunali creati proprio nel quadro, diretto o indiretto, delle Nazioni Unite. Mi riferisco alla Corte internazionale di giustizia, per le responsabilità degli Stati, e alla Corte penale internazionale, per quelle degli individui derivanti da crimini di guerra, genocidio, crimini contro l’umanità, crimine di aggressione. Ma subito bisogna attivarsi in tutte le maniere possibili affinché la più antica e terribile «invenzione» dell’uomo, la guerra, non produca, anche per un errore o incomprensione, un esito nucleare. Ognuno, dal semplice cittadino a chi sopporta responsabilità di governo, deve poter dire di aver fatto di tutto per impedirlo.