Il primo numero del 2024 dell’antica e prestigiosa «Rivista Storica Italiana» conterrà un saggio del professor Michele Donno, associato di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze politiche dell'Università degli Studi di Bari, riguardo i socialdemocratici di Saragat e la nascita del centro-sinistra “organico” di Moro.
Professor Donno, Lei è autore di numerosi studi sui socialdemocratici di Saragat, dalle origini sino agli anni Sessanta. Una pagina di storia socialista poco conosciuta…
«Le mie ricerche ripercorrono, con riferimento al primo ventennio di storia repubblicana, le vicende politiche di Saragat e di quei socialdemocratici italiani i quali, nel 1947, agli albori della guerra fredda, aderirono alla scissione socialista di palazzo Barberini, scegliendo il sistema di governo occidentale guidato dalla DC di De Gasperi, accettando gli aiuti del piano Marshall, condividendo le posizioni democratiche ed europeiste dei socialisti francesi, dei socialdemocratici tedeschi e dei laburisti inglesi. I socialdemocratici italiani, infatti, criticavano fortemente l’URSS e i regimi comunisti dell’Europa orientale, destinati inevitabilmente – come denunciato da Saragat e compagni, già dal 1947, in approfondite analisi sul loro quotidiano «L’Umanità» – a degenerare nelle peggiori forme di oppressione e violenza totalitaria. La vera anomalia, fra i socialisti italiani eletti nel primo Parlamento repubblicano del 1948, non fu, dunque, rappresentata dagli scissionisti di Saragat, che avrebbero, peraltro, avuto il sostegno dei principali partiti socialisti europei, ma da quei socialisti guidati da Nenni che scelsero il Fronte popolare e la stretta alleanza con i comunisti italiani e l’Unione Sovietica di Stalin».
Quindi, la storia del Novecento ha dato ragione a Saragat, verrebbe da affermare…
«Possiamo certamente affermare, parlando di Saragat e dei socialdemocratici italiani, che, sì, «la storia ha dato loro ragione»; ed infatti, i motivi che, fin dal 1947, furono al centro della visione di Saragat – europeismo e atlantismo, riformismo socialista e collaborazione con i cattolici, americanismo e anticomunismo, economia sociale di mercato, alleanza con i ceti medi, unità e autonomia dei socialisti – a lungo negletti e criticati dalle maggiori forze politiche della sinistra, hanno mostrato nel tempo validità e fondatezza, a tal punto che oggi si possono riproporre come tematiche di discussione, per favorire il rinnovamento culturale in quei settori della sinistra italiana impegnati nella ricerca di un’autentica identità socialdemocratica, che dovrebbe affondare le radici nella storia nazionale, e soprattutto in quel socialismo democratico e riformista affermato da Turati nel congresso di Livorno del 1921 e ribadito, poi, da Saragat nella scissione di palazzo Barberini del 1947».
Lei però parla di una damnatio memoriae, politica e culturale, caduta sulla storia della socialdemocrazia italiana. Può spiegarsi meglio?
«La vicenda dei socialdemocratici italiani, sin dalla costituzione in partito nel gennaio 1947, è stata a lungo trascurata. Su questa damnatio memoriae ha pesato un insieme di pregiudizi ideologici, luoghi comuni storiografici, strumentale propaganda politica, accomunati in un giudizio liquidatorio, che attribuiva al partito di Saragat la responsabilità di aver favorito la sconfitta del Fronte popolare alle elezioni dell’aprile 1948 e, da qui, la pluridecennale egemonia democristiana e conservatrice. Secondo questa vulgata, il PSLI (poi PSDI), sostenendo la “scelta di campo occidentale” dell’Italia e collaborando al governo con De Gasperi (importante fu l’azione svolta dal socialdemocratico Tremelloni, Ministro della Cooperazione economica europea, per l’attuazione del piano Marshall in Italia), approvando, infine, l’ingresso dell’Italia nella NATO, avrebbe operato un vero e proprio “tradimento” delle istanze dei ceti operai e popolari, con un “asservimento” alle politiche democristiane e, sul piano internazionale, americane. Dopo la scissione del 1947, Saragat e compagni furono, quindi, oggetto di attacchi forsennati soprattutto da parte dei comunisti italiani, ma anche dei socialisti rimasti nel PSI, che li definirono a lungo “traditori” della classe operaia, “servi” del capitalismo, “succubi” della DC. E questa forte ostilità culturale e politica si è nel tempo tradotta in una damnatio memoriae.
L’azione dei socialdemocratici di Saragat fu, poi, decisiva per la nascita del centro-sinistra italiano, anche con l’approvazione del presidente americano Kennedy.
«Altrettanto interessanti sono le vicende dei socialdemocratici italiani negli anni Cinquanta e Sessanta, dall’incontro di Pralognan tra Saragat e Nenni (1956) sino alla partecipazione ai governi di centrosinistra guidati da Moro (1963), in una vicenda politica che aveva le sue premesse anche nella scissione socialdemocratica di palazzo Barberini. Da quel momento in poi, infatti, l’impegno di Saragat e dei socialdemocratici fu volto alla riunificazione del socialismo italiano, con la costruzione di un’unica forza politica, sul modello delle socialdemocrazie europee, che enucleasse il PSI di Nenni dall’inconcludente frontismo con i comunisti, facendolo approdare alle rive della cultura occidentale e socialista-liberale. Un impegno di lungo periodo, quello di Saragat, con l’obiettivo – avviata la Ricostruzione al fianco della DC, e i processi di integrazione europea ed atlantica, e superata la fase del “centrismo degasperiano” – di condurre il sistema politico italiano verso una nuova configurazione, con la partecipazione al governo di quelle altre forze riformiste espressione più diretta delle classi lavoratrici messe a dura prova dagli scompensi sociali generati dal “boom economico”. Il ruolo di Saragat e del PSDI in questa fase fu quello di “cerniera” fra le posizioni più avanzate, in una difficile azione di mediazione che portò, infine, il PSI ad andare al governo con la DC, favorito anche dalla decisiva approvazione del presidente americano Kennedy che Saragat incontrò nel febbraio 1963. L’“autonomismo” socialista, affermato, infine, da Nenni – con il sostegno alla formula del centro-sinistra e la partecipazione, nel dicembre 1963, al primo governo Moro (con Nenni vicepresidente del Consiglio, Saragat ministro degli Esteri e Tremelloni ministro delle Finanze) –, era già nato e cresciuto da oltre un quindicennio fra i socialdemocratici di Saragat (andati al governo con la DC già dal 1947) e il PSI lo faceva proprio, rompendo definitivamente il legame con i comunisti e rendendosi disponibile al difficile governo di una società capitalistica avanzata. Questo processo di riavvicinamento fra le due anime del socialismo italiano culminò, poi, nell’elezione di Saragat a Presidente della Repubblica (1964) e nella riunificazione socialista del 1966».