«Fu la prima produzione tutta barese, presentata e premiata alla Mostra del Cinema di Venezia, allestita da una cooperativa, la Ebalus di Bari, con soci gli indimenticati Peppino Schito (1934-2009), regista e documentarista salentino e barese di adozione, e il grande Riccardo Cucciolla».
Questo il ricordo di Nico Cirasola, il regista barese che nel 1984 animò a Venezia la cerimonia di premiazione del film, tutto made in Puglia, «Il ragazzo di Ebalus», che si guadagnò il Leone d’oro come «miglior film cooperativo». In quegli «anni di piombo» turbati da attentati terroristici e stragi, la pellicola ripercorreva, su sceneggiatura di Schito, «le avventure di uno studente del Sud - ricorda Saverio Marconi, attore protagonista di quel lungometraggio - che si avvicina a gruppi extraparlamentari, aderisce a una formazione clandestina e commette alcuni crimini. In seguito si pente e cerca di mollare tutto, ma viene braccato dalla Polizia e dai suoi stessi ex compagni. Si rifugia in campagna da un contadino (Riccardo Cucciolla, ndr) e da una giovane insegnante (l’attrice inglese Theresa Ann Savoy), anche lei terrorista, che alla fine lo assassina. Marco muore tra le braccia del vecchio il cui volto triste cerca invano una spiegazione alla violenza», racconta Marconi, 72 anni, che qualche anno prima era stato apprezzatissimo protagonista di «Padre padrone» dei fratelli Taviani.
«Il ragazzo di Ebalus», molto attuale in quegli anni (è il periodo del delitto Moro e della strage alla stazione di Bologna), fu girato in Terra di Bari (Conversano, Alberobello, lo stesso capoluogo), nel tarantino (Martina Franca), sul Gargano, alle Isole Tremiti e a Porto Badisco nel Salento.
«Erano gli anni del post terrorismo - sottolinea al telefono Marconi - che il vulcanico Peppino Schito ripercorse dal suo osservatorio privilegiato di uomo del Sud che scelse me, giovanissimo attore, nel ruolo di protagonista in un cast davvero importante». Oltre a Cucciolla e alla Savoy, Ennio Fantastichini (tutti e tre scomparsi) e Alida Sessa.
«Fu una esperienza fantastica e indimenticabile, per la bellezza dei set pugliesi e la solarità di Schito, persona gentilissima che amava la sua regione in modo viscerale - continua l’amarcord - ed era profondo conoscitore dei luoghi, della gente e della inimitabile cucina».
Un episodio, in particolare, è rimasto impresso nella mente di Marconi: «Grazie a questo film è nata la Compagnia della Rancia. I soldi ricavati da alcune scene registrate fuori contratto, una ricordo girata in una chiesa a forma di trullo delle campagne pugliesi, furono le prime risorse impiegate per dare vita alla Compagnia», rammenta il regista e attore romano.
La «Compagnia della Rancia» che prende il nome dalla rocca di Tolentino (Macerata), è la prestigiosa società di produzione di musical fondata da Marconi nel 1983, nello stesso anno in cui il film «made in Bari» fu girato, e in 37 anni ha collezionato successi straordinari proponendo, tra gli altri, i più celebrati spettacoli di Broadway.
«Il ragazzo di Ebalus, la Puglia e quelle scene sono sempre nel mio cuore - aggiunge il papà del musical italiano, in questi giorni impegnato nelle prove di “Oklahoma”, un classico del 1943 -. Peccato non abbia avuto una adeguata distribuzione. Ricevemmo molti riconoscimenti e per fortuna la Rai decise di acquistarne i diritti e di proporlo».
L’assenza di una distribuzione adeguata fu uno dei limiti di quel lavoro.
«Con Peppino Schito le pensammo tutte - ricorda l’artista barese Carlo Susca, che contribuì alla promozione del film e alla raccolta fondi -. Già prima dell’avvio delle riprese, il film diventò un evento. Fu promosso in un modo singolare, con una grossa mostra a Expoarte, alla Fiera del Levante. Tanti gli autori che vollero essere partecipi dell’iniziativa, vendendo opere il cui ricavato fu in parte devoluto alla produzione cinematografica».
Incalza Cirasola: «Per Bari e la Puglia si trattò di un evento straordinario - ricorda -. Peppino riuscì a mettere insieme una serie di sostenitori, riuscì a coinvolgere tante persone, ricordo Daniele Trevisi che nel film faceva il poliziotto, Tommaso Mesto di Bari che lavorava negli allestimenti scenografici e poi c’erano Elia Canestrari e Carlo Susca che insieme promossero questa operazione insieme a molti pittori, coinvolgendo l’Accademia delle Belle Arti».
L’altra importante novità riguardò la produzione in forma di cooperativa: «La coop Ebalus fu in realtà il primo soggetto produttore cinematografico pugliese - ricorda Cirasola -. Molti credettero e investirono in quella iniziativa, ritenendola innovativa e importante per il contesto sociale e culturale di Bari e della Puglia. Tra i soci promotori c’era Riccardo Cucciolla, sempre pronto a sostenere iniziative in campo cinematografico e culturale. L’iniziativa era validissima, tant’è che sulla falsariga del loro statuto, che dovrei conservare, io stesso costituii la Mediterranea Film. La Ebalus è stata una iniziativa pionieristica in questo settore per la nostra città che nei primi anni Ottanta poteva vantare una sua prima reale società di produzione».
Il regista Schito fu la figura chiave del progetto. «Senza dubbio: Peppino Schito era un personaggio vulcanico. Reduce da una serie di documentari, coinvolse in quel lavoro la troupe romana di Ferruccio Castronuovo (attore, registra e produttore di programmi e documentari per la Rai, ndr). Quella intesa ebbe anche una coda polemica. Ma la conferma che la strada percorsa fosse quella giusta giunse dalla Mostra del Cinema di Venezia 1984. Fu un evento meraviglioso. Ebbe una grossa eco. A me, che del film fui solo spettatore, fu assegnato il compito di animare la premiazione-evento con interviste a Schito, a Canestrari e ad altri protagonisti del film. Ricordo che per celebrare il primo evento cinematografico pugliese a Venezia, dopo i documentari storici di Lorenzo Fiore, dalla Puglia giunsero tanti addetti ai lavori, tra i quali il gestore del teatro Petruzzelli Ferdinando Pinto, e diversi artisti».
Nonostante gli apprezzamenti della critica, il film non ebbe una grossa distribuzione. Alcune copie furono presentate in diversi festival, prima dell’acquisto dei diritti da parte della Rai che lo propose sul piccolo schermo. Tra le proiezioni, però, «nessuno dimenticherà quella avvenuta all’Italian Film Fest di Bari - ricorda ancora Cirasola - a gennaio del 2009 quando Peppino ci lasciò». In silenzio, il regista visionario se ne andò il 23 gennaio, proprio nel giorno di chiusura della rassegna.
Schito era un barese d’adozione. Nato a Cursi in provincia di Lecce nel 1934, agli inizi si impegnò nell’attività editoriale fondando il giornale «La Ribalta». Si occupò di fotografia collaborando con lo studio di Mimmo Castellano. La passione per l’immagine lo portò successivamente a cimentarsi nel genere del documentario realizzandone due: «Murgia» e «La Puglia di Virgilio», quest’ultimo ispirato a un‘opera di Tommaso Fiore con la voce narrante del suo amico Riccardo Cucciolla.
Quest’ultimo lavoro gli fornì l’idea per realizzare il suo unico film, «Il ragazzo di Ebalus», che nel 1984 trionfò a Venezia: apice della carriera di un pioniere che Bari sembra aver dimenticato.
















