«Sappiamo che possiamo fare meglio. Avremmo voluto vincere. Ci prendiamo questo punto. Siamo sulla strada giusta». Le parole di Christian Gytkjaer, pronunciate con calma quasi glaciale nel dopogara del “Picco”, risuonano come un misto di consapevolezza e amarezza. Perché dietro la compostezza del danese si nasconde la frustrazione di un Bari che ancora una volta si è fermato a un passo dal salto di qualità. Contro uno Spezia in crisi e in dieci uomini per tutto il secondo tempo, i biancorossi hanno gettato al vento una vittoria che avrebbe potuto ridare slancio, fiducia e un senso a un cammino in trasferta che resta desolante. Finisce 1-1, un risultato che pesa come una sconfitta e che prolunga a nove mesi il digiuno esterno dei pugliesi. Nove mesi di rimpianti, occasioni sprecate e prestazioni in cui la fragilità mentale si è puntualmente trasformata in limite strutturale.
La gara del “Picco” ha confermato quanto la squadra di Fabio Caserta continui a vivere prigioniera della propria instabilità. Un Bari sprecone, incapace di gestire i momenti chiave e di mantenere lucidità quando il contesto diventa favorevole. Gli errori di lettura, i cambi discutibili e la mancanza di continuità mentale hanno trasformato un match potenzialmente agevole in una nuova prova d’inconsistenza. Tutti da decifrare, infatti, i movimenti e le scelte di un secondo tempo giocato senza coraggio, quasi con timore, come se la superiorità numerica fosse un fardello e non un vantaggio.
Senza nerbo, senza grinta, senza personalità. È questo il ritratto che La Spezia consegna di un Bari ancora privo di una vera identità. E mentre i tifosi si interrogano sull’assenza di mordente, i protagonisti in campo preferiscono glissare. Gytkjaer, il più lucido e concreto della serata, non si sottrae però alla realtà: ammette le difficoltà, prova a guardare avanti, ma tra le righe si percepisce la delusione di chi sa che qualcosa di importante è sfuggito di mano.
Eppure, il suo gol - il terzo stagionale, il secondo consecutivo - aveva illuso tutti. L’attaccante danese, sempre più incisivo nel gioco aereo, ha capitalizzato al meglio l’assist di Verreth da calcio d’angolo, firmando un vantaggio che pareva preludere a un successo atteso da tempo. L’altro sigillo era arrivato il 30 settembre a Chiavari, nel 2-2 con la Virtus Entella. Un bottino di tre reti in otto gare, in appena 298 minuti complessivi, che conferma una media realizzativa incoraggiante nonostante l’impiego mai pieno. Neppure una volta, infatti, Caserta lo ha lasciato in campo per tutti i novanta minuti.
A La Spezia, Gytkjaer ha fatto coppia con Moncini per 63 minuti. Un tandem che aveva mostrato intesa e dinamismo, almeno fino al gol del vantaggio. Poi, la luce si è spenta. Il Bari ha arretrato, ha smesso di costruire, ha lasciato campo e fiducia a uno Spezia ferito ma vivo. Un copione già visto troppe volte. E così, nonostante la superiorità numerica, il bottino esterno resta desolante: due punti in cinque gare lontano dal «San Nicola», numeri da zona retrocessione.
Nemmeno gli episodi possono fornire appigli. Il presunto rigore negato a Moncini e l’espulsione di Kouda nel finale di primo tempo non bastano a giustificare un calo di tensione tanto evidente. La verità è che il Bari, ancora una volta, si è sciolto al momento di chiudere la partita. E il problema non è solo tattico. E’ di mentalità. Il centrocampo, poi, continua a essere il punto debole. Antonucci, dalla trequarti, non riesce a innescare le punte, mentre Castrovilli, pur generoso, fatica a sostenere la manovra offensiva e a dare continuità alla pressione alta. Il risultato è una squadra che gioca a strappi, senza fluidità né coesione.
In questo contesto, l’unica certezza resta proprio lui, Gytkjaer, che con il suo colpo di testa ha tenuto accesa una fiammella di speranza. Ma anche il suo realismo non lascia spazio a illusioni: «Ci manca qualcosa. Quando giochi in superiorità, hai voglia di vincere. Ma il calcio è così. Bisogna guardare il positivo. Ovvero, il punto che fa classifica ed il terzo risultato utile di fila».
Una visione equilibrata, che cerca di aggrapparsi al bicchiere mezzo pieno. Ma dietro quella calma nordica si intravede la consapevolezza che il Bari non può più permettersi di accontentarsi. La squadra deve crescere, e in fretta, se vuole restare agganciata al treno delle prime. «Sul piano personale - aggiunge il danese - il gol è importante. Mi fa sbloccare. Purtroppo, non ha portato più di un punto. Giocare accanto ad un’altra punta per me cambia poco. Con Moncini mi trovo bene. Anche se gioco da solo o con un altro partner, per me cambia poco».
Parole che trasmettono professionalità e spirito di gruppo, ma che non cancellano la sensazione di un’occasione buttata via. Perché quella di La Spezia, più che una tappa di crescita, è sembrata un passo indietro mascherato da pareggio. Il Bari continua a girare a vuoto, prigioniero di una confusione tattica che ne offusca il potenziale e ne frena la corsa. E il rischio, a forza di rimandare la svolta, è che la stagione prenda una direzione opposta a quella immaginata.
















