Mercoledì 24 Dicembre 2025 | 15:00

Casamassima, l’ira dei dipendenti Primark: «Controllati anche in bagno»

Casamassima, l’ira dei dipendenti Primark: «Controllati anche in bagno»

 
Valentino Sgaramella

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Valentino Sgaramella

Casamassima, l’ira dei dipendenti Primark: «Controllati anche in bagno»

Sciopero della UilTucs ieri nel centro commerciale. Vurchio: «Chi ha alzato la testa ha subito come ritorsione il cambio di mansioni. La stessa iscrizione al sindacato ha provocato la ritorsione»

Mercoledì 24 Dicembre 2025, 13:09

È sciopero ad oltranza nel negozio Primark al centro commerciale di Casamassima. Ieri mattina sit-in dei lavoratori. Denunciano di tutto: un controllo occhiuto sull’ambiente di lavoro, tempi e modi supervisionati da sorveglianti, che si assicurano, anche con velate minacce di licenziamento, che i dipendenti lavorino il più possibile. Chi deve andare in bagno ha appena due minuti altrimenti sono severi rimproveri. Non puoi nemmeno avere una bottiglietta d’acqua con te. Contratti non rispettati nelle loro clausole, orari di lavoro violati apertamente. E ancora, ritorsioni per dipendenti che si iscrivono al sindacato.

Davanti all’ampio negozio si sente il vociare e il rumore dei fischietti da lontano. I dipendenti sfogano la loro rabbia. Silvio Tanzi: «Siamo sotto controllo ogni volta che andiamo in bagno per le esigenze fisiologiche. Controllano quanti minuti rimani all’interno. All’uscita riceviamo sempre battutine sarcastiche e teniamo conto che la maggior parte dei dipendenti sono donne. Dobbiamo dare spiegazioni personali. È avvilente per una donna». L’elenco è lungo. «Mancano i Dispositivi di protezione individuale (Dpi) per chi è addetto alle vendite, a contatto con il pubblico. L’azienda chiude ad ogni confronto sindacale, ha eretto un muro. Abbiamo chiesto lumi ad un responsabile che non parla nemmeno con la stampa: “sto lavorando”, l’unica cosa che dice».

«I contratti sono part time, 18 ore o 20 settimanali però l’azienda utilizza gli interinali a 40 ore settimanali per tutto l’anno. Gli interinali sono contratti a chiamata hanno un monte ore minimo di 16 ore settimanali ma loro li utilizzano per tutto l’anno a 40 ore settimanali», dice Tanzi. Spiega il segretario generale regionale Uil Tucs, Marco Dell’Anna: «Dopo alcuni mesi quei part time maturano un adeguamento del loro contratto. Scegliendo un interinale mantengono una forbice di flessibilità permanente mentre tieni in soggezione il part time che farà di tutto pur di lavorare un’ora in più». In queste condizioni chi ha la voglia di contestare l’azienda si faccia avanti. Infatti, buona parte dei lavoratori condividono la protesta ma non scioperano.

Ancora Tanzi: «Siamo assunti per 20 ore con poche possibilità di straordinario e nessun incremento delle ore lavorative. Invece di poter fare noi gli straordinari, che abbiamo inaugurato il negozio, lo abbiamo creato, chiamano ragazzi che devono purtroppo lavorare 40 ore settimanali mentre a noi dicono che non c’è alcuna possibilità di aumentare le ore né di pagare straordinari».

Salvatore Saitta: «Non ci sono canali di comunicazione con l’azienda. Ieri abbiamo avuto un piccolo confronto ma l’azienda dice che le regole le fanno loro, prendere o lasciare; i contratti nazionali non li hanno siglati loro. Noi esigiamo che quei contratti siano rispettati».

Nicole Mazzacane: «Siamo in cassa ma non mi danno la possibilità nemmeno di portare una bottiglietta d’acqua con me perché secondo loro non è decoroso per i clienti. Non posso bere. Io sono stata assunta con contratto part time a 18 ore settimanali ma loro concentrano tutto sabato e domenica, 9 ore al giorno più un’ora di pausa. Non rispettano la ripartizione su tre giorni delle 18 ore, quindi 6 ore al giorno più mezz’ora di pausa». Stipendio: 800 euro al mese. «Non posso certo pensare di mettere su famiglia in queste condizioni». Pietro Sorrenti: «Ci cronometrano quando andiamo in bagno per espletare i nostri bisogni fisiologici. Il manager ha detto che quando vado in bagno bisogna chiedere al manager di turno il permesso. Ho 2 minuti di tempo per fare tutto». Il problema è che deve attraversare l’intero spazio del negozio e impiega un minuto per andare e un minuto per tornare. «Da quel momento ho cominciato a cronometrarmi e sono stato in bagno 6 minuti. Gli altri miei colleghi sono terrorizzati dall’azienda, hanno paura di perdere il lavoro e per questo oggi non sono qui».

Antonella Porta: «Sono stata assunta per la mia attività pregressa. Ero visual merchandiser, ossia allestisco il negozio e le vetrine. Ho firmato un contratto a tempo indeterminato, per legge ho diritto ad un contratto di terzo livello con una paga maggiore. Primark mi dice che non esistono ruoli e che siamo tutti uguali. Io sono uguale al cassiere ma io ho frequentato dei corsi di formazione per fare ciò che faccio». Pronta la risposta dell’azienda. «Da un giorno all’altro, hanno deciso di spostarci tutti, compresi i magazzinieri, uomini con famiglia ed esperienza di 10 anni, assunti inizialmente come magazzinieri e dopo 2 anni e mezzo spostati di reparto perché non ci riconoscono il ruolo ed oggi siamo tutti addetti alle vendite». Infine: «Saliamo su scale fino a 4 metri di altezza senza alcuna protezione sollevando manichini alti il doppio di me, a rischio di cadere».

Ribatte Pietro Sorrenti: «Abbiamo ricevuto minacce velate. Se avessimo alzato la voce saremmo stati spostati in reparto». Bartolomeo Vurchio di Uil Tucs Puglia: «Chi ha alzato la testa ha subito come ritorsione il cambio di mansioni. La stessa iscrizione al sindacato ha provocato la ritorsione». Dell’Anna è deciso: «È un metodo di governo dell’azienda. Un modello di multinazionale che passa sopra la testa delle persone per massimizzare i profitti. Governano i rapporti con i dipendenti mantenendoli in uno stato di soggezione inaccettabile. Faremo sciopero ad oltranza. Il 26 dicembre abbiamo già proclamato lo sciopero perché c’è l’obbligo del lavoro nei giorni festivi».

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