Negli anni trascorsi come arcivescovo di Taranto non ce n’è stato uno in cui, in questo periodo, non fosse all’ordine del giorno la questione del destino dello stabilimento siderurgico. Ministri, commissari, persino un presidente del Consiglio, sono venuti a Taranto a raccontarci un futuro che non si è mai concretizzato. La Chiesa di Taranto è stata sempre lievito di confronto tra le parti, indimenticabili la qualità del dibattito e degli atti prodotti in occasione della 49° Settimana sociale dei cattolici italiani che ebbi l’onore di presiedere nell’ottobre del 2021 sul tema «Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro e futuro».
Allora così scrivevo nel mio messaggio di apertura: «Il clima di incertezza sfianca anche la speranza più ostinata e ora abbiamo un’ultima opportunità con i fondi del Next Generation Ue e del Recovery Plan: restiamo insieme, uniti, facciamo fronte comune perché il nostro territorio possa finalmente risollevarsi».
Bene, che ne è di quelle opportunità? Pochi giorni fa, la Conferenza Episcopale Pugliese, riunita a Molfetta, ha raccolto l’allarme dell’arcivescovo Ciro Miniero richiamando «gli studi scientifici e le perizie disposte dalla magistratura» che «confermano l’urgenza di superare un modello industriale ormai obsoleto e ancora gravemente lesivo della salute dei lavoratori e dei cittadini, in particolare di quanti vivono nei quartieri più esposti alle ricadute ambientali. Portiamo nel cuore – hanno scritto i vescovi nel loro appello – il dramma delle persone, bambini, giovani, adulti e anziani che quotidianamente affrontano malattia e sofferenza a causa dell’inquinamento e a quanti hanno perso i propri cari. (…) il tempo dell’attesa si è esaurito e ogni ulteriore rinvio prolunga un’agonia ingiustificabile».
Di qui l’appello «con forza alle istituzioni e alla politica di assumere decisioni rapide e responsabili: il tempo dell’attesa si è esaurito e ogni ulteriore rinvio prolunga un’agonia ingiustificabile. La speranza cristiana ci sostiene nel credere che un futuro diverso per Taranto sia possibile: si può produrre acciaio senza compromettere la salute e si può restituire prospettiva a un territorio che non può più vivere dipendendo da un’unica vocazione industriale» hanno concluso i vescovi. Siamo alla fine di un altro anno e si ripropongono con urgenza dolente sempre le stesse dinamiche: le promesse, i possibili impegni, le inverosimili soluzioni. Quando sta per essere presa una decisione avviene un rimando. E si torna all’incertezza abituale. Tra varie ipotesi bisogna fare una scelta. E poi ci sarà la dovuta dialettica governo- opposizione e assumersi le dovute responsabilità: il tempo però è già scaduto! La città vive una deriva triste, i cumuli di rifiuti rappresentano l’immagine plastica di una comunità allo sbando, che in larga parte ha ceduto al rancore e alla sfiducia, una comunità non scevra da responsabilità ma alla quale va prospettata una strada, magari lunga e accidentata, ma una strada che alla fine faccia intravedere una meta certa.
Invece di farci cadere le braccia per le nostre difficoltà e per il clima di guerra che dilaga in Europa e nel mondo ciascuno dia il suo contributo attingendo anche all’esperienza del giubileo che sta per concludersi per essere portatori di speranza. Il Natale ci dice che, nel tentativo di costruire qualcosa di buono nella nostra terra, non siamo soli. La cosa più inimmaginabile, più sorprendente è la nascita di un bambino che rivela il volto del Mistero e ci comunica il suo amore. A Betlemme l’Angelo lo annuncia ai pastori che erano una delle categorie più emarginate di quel tempo: «Vi annuncio una grande gioia che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10). Chi era quel bambino in confronto a Cesare Augusto? Certamente non era un «mito» costruito dall’uomo. Era un fatto registrato all’anagrafe attraverso il censimento. Un bambino in carne e ossa. Nella sua innocenza portava qualcosa che il cuore di ogni persona desidera: un amore senza fine e una nuova capacità di amare persino i nemici. L’irruzione di una reale novità nella nostra vicenda quotidiana. Diceva papa Francesco parlando dell’Incarnazione: «vicinanza e tenerezza» (Evangelii Gaudium 88). E così possiamo ripartire anche nelle nostre vicende ancora incompiute. Questo è il messaggio della Chiesa che ripropone l’annuncio dell’Incarnazione, della Passione e della Resurrezione e che papa Leone sin dalle sue prime parole ci ha comunicato: «La pace sia con tutti voi. Questa è la pace del Cristo Risorto». E ci ha invitati ad essere costruttori di «una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante». Un Buon Natale a tutti.
* Arcivescovo emerito di Taranto
















