Trentasei anni e ancora la voglia di tuffarsi, allenarsi, restare pronto. Eugenio Lamanna è uno di quei portieri che il calcio non riesce a mettere in panchina per davvero. Dopo oltre trecento partite tra serie A e B, con esperienze a Siena, Bari, Genoa, Spezia e Monza, oggi è svincolato ma continua a lavorare in attesa del progetto giusto. Professionista serio, voce autorevole nello spogliatoio, Lamanna guarda con lucidità al presente del ruolo e alla serie B di oggi. Parla di difese che ballano, di costruzione dal basso, di portieri che devono pensare prima ancora di parare. E trova il tempo per un giudizio su Michele Cerofolini, il numero uno biancorosso chiamato a dare sicurezza al Bari di Caserta e, parate… alla mano, portatore di più del 50 per cento degli attuali 6 punti dei Galletti.
Lamanna, che tipo di progetto aspetta per rimettersi in gioco?
«Sto valutando alcune situazioni di squadre dove allenarmi. Lavoro da solo a Como. Le recenti richieste di B sono rimaste in standby, poi sfumate. A parte la parentesi sfortunata di Lecco, è mancata un po’ di fiducia nei miei confronti. A Monza, nonostante la vicinanza di Palladino, ero messo in disparte. Vorrei essere parte integrante di qualcosa di importante da realizzare».
Segue ancora il Bari?
«Caserta mi ha sempre fatto una bella impressione. Le sue squadre giocano bene. Giudicare all’inizio è complicato. Un avvio a rilento ci può stare. Il Bari ha una rosa per fare bene, non da playout. C’è solo da trovare la quadra. La sosta all’orizzonte darà respiro per ripartire. Spesso chi arriva a fine mercato non è sempre al top della condizione».
Il reparto difensivo biancorosso è quello che finora ha mostrato le maggiori difficoltà.
«Ho visto delle partite del Bari. Le linee guida restano sempre le stesse, anche per il portiere. Quando c’è una linea a tre, hai dei movimenti da fare e mantenere una certa posizione. Nel complesso, non è semplice inserirsi in un meccanismo tattico agli inizi di settembre. La gestione dello stato atletico, in genere, è pianificata dai preparatori. Su questo, non mi preoccuperei».
Difesa a tre o a quattro: lei quale preferisce, e perché? Cosa cambia per un portiere in termini di riferimenti, distanze e comunicazione?
«Dietro i terzi di difesa, c’è più spazio da coprire anche per il portiere che deve adattarsi alle caratteristiche dei difensori. Avere un centrale e due braccetti ti espone all’attacco degli avversari».
Parliamo della costruzione dal basso, ormai un tema centrale anche in serie B e, soprattutto, nel gioco di Caserta. Quando ha senso farla e quando invece è meglio “saltare” la pressione?
«Può dare dei vantaggi perché libera degli spazi in avanti. Non amo, però, quando diventa l’unica soluzione. Se giochi dal basso e fai fatica ad uscire, ti prendono alto e prima o poi ti puniscono».
Quali sono, secondo lei, i vantaggi e gli svantaggi reali del gioco da dietro per un portiere?
«A parte i fenomeni, il gioco dal basso è un esercizio per tutta la squadra. Giocare sui 15, 20 metri coi compagni è facile. Il problema è quando saltano tutti o alcuni movimenti. Se ognuno è nella parte giusta, riesce tutto meglio».
A proposito di portieri, conosce Cerofolini, l’attuale numero uno del Bari? Ha solo 26 anni. Che idea si è fatto di lui, che tipo di profilo è?
«L’anno scorso, a Frosinone, ha compiuto tanti ottimi interventi. È un portiere forte fisicamente, molto reattivo. Moderno, non ha timore di uscire dai pali. Un giocatore completo. Lo ricordo contro il Sudtirol, fece un miracolo al 95’ dimostrando reazione ed esplosività. Un profilo ottimo per la piazza di Bari».
Restando alla categoria, quali portieri di serie B la stanno impressionando di più quest’anno? C’è un giovane che pensa possa avere un futuro importante?
«Tra i giovani, sono curioso di vedere Desplanches del Pescara. Idem Stankovic a Venezia. Ce ne sono tanti bravi. Fulignati dell’Empoli e Pigliacelli Catanzaro hanno una gestione coi piedi incredibile. Klinsmann del Cesena è una sorpresa».
Tra i migliori e quasi suo coetaneo, c’è il 35enne Leandro Chichizola del Modena capolista. Segno che maturità ed esperienza contano in B.
«Quando arrivò in Italia dall’Argentina, nel 2014, era già avanti sotto l’aspetto del gioco coi piedi. Mi è sempre piaciuto».
Guardiamo alla sua carriera. Da Siena a Bari, da Genoa a Monza, quale periodo ricorda con più affetto e cosa le ha insegnato di più sul ruolo?
«Ogni posto ha insegnato qualcosa, anche quando non ho giocato. La prima esperienza coi grandi fu a Como in D. A Genova sono stati gli anni della serie A. Giocare a Marassi e in certi stadi è incredibile. Ho incontrato campioni dentro e fuori dal campo. A Gubbio ho vissuto due anni bellissimi con Torrente che poi mi volle a Bari a 21 anni. Una grandissima piazza per la B. Una prova per me. Anche a Monza, dove ho finito ai margini, ho compreso il valore di non farsi condizionare dal non giocare».
Da uomo d’esperienza, che consiglio darebbe oggi a un giovane portiere che sogna di emergere in un calcio dove la tecnica coi piedi conta quasi quanto quella con le mani?
«A livello tecnico non si può tralasciare nessun aspetto. Bisogna adattarsi ai tempi, lavorare sulle carenze e sui punti forti. Conta la lettura del gioco, fa la differenza. E mantenere l’equilibrio nei momenti buoni, senza abbattersi in quelli negativi».