BRINDISI - I cellulari, di cui avevano la disponibilità all’interno del carcere, li utilizzavano per telefonare alle madri, alle mogli, alle compagne, alle sorelle, agli zii, agli amici e, finanche, per scattarsi selfie all’interno delle celle. Nelle settimane scorse la Procura della Repubblica di Brindisi ha chiuso le indagini e ha fatto notificare 18 avvisi di garanzia ad altrettanti indagati. Nell’elenco di coloro che avrebbero fruito di un telefono cellulare durante il loro “soggiorno” nella casa circondariale di Brindisi ci sono brindisini, fasanesi, baresi, un detenuto residente a San Marco in Lamis (Foggia), un foggiano, un residente a Capurso (Bari), un tarantino, un mesagnese. Dal 21 ottobre 2020, giorno di entrata in vigore del decreto legge numero 130, introdurre e detenere telefonini in carcere è un reato, che viene punito con pene che vanno da uno a quattro anni di reclusione.
Dalle tante indagini, condotte praticamente in ogni angolo d’Italia, è venuto alla luce che c’erano boss mafiosi che nei penitenziari in cui erano detenuti disponevano di cellulari con cui impartivano disposizioni ai loro sottoposti in libertà, ladri e trafficanti che usavano i dispositivi elettronici, introdotti illecitamente dietro le sbarre, per dare direttive ai loro complici a piede libero per proseguire le attività illecite. Il puzzle composto dalla Procura della Repubblica di Brindisi offre, invece, uno spaccato di tenore completamente diverso. Uno dei fasanesi indagati, ad esempio, usava il cellulare che era riuscito a far entrare nel carcere di via Appia, dove nella primavera del 2022 era detenuto, «per entrare in contatto con la nonna materna» e per «scattare fotografie che lo ritraevano all’interno dell’istituto penitenziario».
Un altro detenuto proveniente da Fasano, usando un «telefono cellulare in uso a diversi detenuti», comunicava con la sorella e con un ex compagno di cella. La stessa persona, per mezzo di un telefono di cui aveva l’uso esclusivo, comunicava con frequenza quasi quotidiana con una donna. Uno degli altri fasanesi indagati, invece, «indebitamente ha ricevuto e utilizzato all’interno dell’istituto penitenziario un microtelefono cellulare con cui comunicava con la madre, con la sorella» e con alcuni amici (tutti fasanesi), tutti identificati dagli investigatori nel corso dell’indagine. Al quarto fasanese indagato – che è il primo nell’elenco dei destinatari degli avvisi agli indagati e ai loro difensori della conclusione delle indagini preliminari – il magistrato inquirente contesta il fatto di essersi adoperato per ricevere in carcere una «sim inserita in una lettera» che gli era stata recapitata in prigione. L’agente addetto al controllo della corrispondenza ha notato «un leggero rigonfiamento di uno degli adesivi incollati sulla lettera» e ha trovato la sim.
Ad un detenuto barese, invece, il magistrato inquirente contesta di aver usato il microtelefono di cui aveva la disponibilità nel periodo in cui è stato recluso nella casa circondariale di via Appia, a Brindisi, per comunicare sistematicamente con la sorella e con la sua convivente. Ad un 28enne barese il pm contesta di aver avuto la disponibilità, durante la sua detenzione, di più cellulari con cui telefonava alla convivente, allo zio paterno e «con cui, unitamente ad altri detenuti, scattava fotografie che lo ritraevano all’interno dell’istituto penitenziario». «Quella «scattata» dall’indagine della Procura della Repubblica di Brindisi è la “foto” di un penitenziario in cui sino al 21 aprile dell’anno scorso, giorno in cui è stata chiusa l’inchiesta, c’era un gran traffico telefonico (illecito). Agli indagati viene contestato di aver utilizzato i cellulari, introdotti e detenuti illecitamente in carcere, per comunicare soprattutto con i loro familiari e con gli amici. Chiuse le indagini preliminari e notificati gli avvisi di rito, a breve il pubblico ministero Giovanni Marino, titolare del fascicolo di indagine, potrebbe formalizzare la richiesta di rinvio a giudizio per gli indagati.