BARLETTA - Il censimento della Confartigianato parla di oltre 2 milioni di case in Italia, cioè una su sei, vecchie e in cattivo stato. Dietro c’è una lunga diatriba che mette sotto accusa la resistenza italiana ad abbattere le costruzioni per ricostruire. Da noi, invece, si protraggono nel tempo continue ristrutturazioni, incerti restauri, approssimative trasformazioni, che spesso peggiorano stabilità e solidità degli immobili, dunque la loro sicurezza (leggi tragedia di via Roma).
Il censimento dell’associazione indica 2.051.808 edifici residenziali in mediocre o pessimo stato di conservazione e si tratta del 16,8% del totale. Trattare il tema, per i barlettani, fa alquanto male se si pensa alle vittime che in più di 60 anni sono state piante da famiglie intere, testimoni sconvolti ed addolorati, ma proprio per questo dobbiamo ricordare perché, come affermava George Santayana, «coloro i quali non sanno ricordare il passato, sono condannati a ripeterlo». La tragedia più distruttiva che ha sconvolto la vita a centinaia di persone è il crollo del palazzo in via Canosa al civico 7, avvenuto alle 6,25 del 16 settembre del 1959. Ed è da annoverare tra le sciagure, non causate dalla guerra, più luttuose accadute in Italia con ben 58 vittime.
Nella nostra Città il dolore è sempre più accentuato, perché gli avvenimenti successi prima e dopo quel dannatissimo 16 settembre hanno tracciato un sottile e maledetto fil rouge che li unisce e che ha come ignobile matrice l’insipienza e la mala edilizia.
Quel crollo ebbe eco in tutta Italia e nel mondo intero e questo lo si può dedurre dall’abbondantissima documentazione conservata presso la sezione di Archivio di Stato di Barletta. Basti, come esempio, il numero delle testate giornalistiche che si occuparono dell’avvenimento, ben 63 tra le più prestigiose e famose d’Italia come il Corriere della Sera, La Stampa e il Tempo oltre, naturalmente, alla Gazzetta del Mezzogiorno.
Altra dimostrazione della partecipazione, quasi planetaria, alla tragedia, viene dagli oltre 200 telegrammi giunti all’allora giovanissimo sindaco di Barletta Giuseppe Palmitessa, tra i quali vogliamo riportare quello del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. «Profondamente addolorato notizie tragico crollo edificio codesta Città giunga alla S.V. e alle famiglie colpite dalla sciagura espressioni di vivo cordoglio e commossa solidarietà e voti affettuosi ai feriti; del Presidente del Consiglio dei Ministri Antonio Segni».
Ma il telegramma che più colpisce per la sua tragicità è quello inviato da Domenico Russo, figlio di una delle vittime, il quale trovandosi a Milano così scrisse al sindaco: «Non fate funerali mamma, arrivo stasera». In sole sei parole tutto il dolore e lo sgomento che in pochi istanti ha preso la persona più cara della sua vita.
La partecipazione al dolore della Città di Barletta è dimostrata anche dalle centinaia di lettere provenienti da ogni parte del mondo. Una per tutte quella giunta al sindaco dal signor Frank Williment abitante in Lyall Parade n. 2 Wellington Est, Nuova Zelanda: «Caro signor Palmitessa, la triste notizia del crollo è stata pubblicata nel nostro giornale di Wellington. Desidero offrire la mia solidarietà a tutti i sofferenti che sopravvivono alle tragedie. Mentre mando a voi e ai vostri cittadini la mia sincera solidarietà e preghiera al Dio di Israele in vostro favore». Alla lettera il signor Williment allega un buono ordinario postale di 5 scellini destinato ai superstiti del crollo.
Ai funerali delle 58 vittime, che si svolsero il 18 settembre, partecipò anche il Presidente della Repubblica Gronchi che per l’occasione annullò tutti i ricevimenti previsti per la concomitante inaugurazione della Fiera del Levante ed incontrò i feriti e i parenti delle vittime rimanendone profondamente colpito e addolorato.
Desidero chiudere con le parole scritte dall’inviato del giornale La Stampa Nicola Adelfi che nell’editoriale intitolato «La fatalità non basta a spiegare la sciagura». Così concludeva: «Ci auguriamo sinceramente che a tutti questi interrogativi gli inquirenti possano dare risposte soddisfacenti dalle quali risulti che il disastro di Barletta è avvenuto non già per la malizia di un costruttore o per la dabbenaggine più o meno interessata di qualche funzionario, ma unicamente per un capriccio del destino. Se invece dovesse risultare il contrario, vorremmo che la severità dei giudici fosse un esempio per quanti mettono in gioco vite umane al solo scopo di aumentare le loro ricchezze. I colpevoli, in questo caso, anche se si presentano con fattezze umane, hanno nel petto un cuore di tigre».