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«Ecco come la criminalità è cambiata in 30 anni»: parla Michele Dicolangelo, memoria storica della Dia

 
Giovanni Longo

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Giovanni Longo

«Ecco come la criminalità è cambiata in 30 anni»: parla Michele Dicolangelo, memoria storica della Dia

Entrato nel ‘92, il luogotenente va in pensione. Dal contrabbando di sigarette al traffico di droga, una vita a combattere la mafia

Mercoledì 13 Luglio 2022, 13:20

Ha visto nascere e crescere il Centro Dia di Bari. Ha festeggiato la maggiore età del gruppo interforze e adesso, quando ormai l’ufficio investigativo è diventato maturo avendo da poco compiuto i suoi primi 30 anni, lascia solo idealmente la divisa di appartenenza, quella dell’Arma dei carabinieri, nonché la sua postazione al primo piano del Centro che ha sede di via Amendola. Su quella scrivania in realtà ha «solo» scritto le informative di polizia giudiziaria. Lui, infatti, ama le indagini tradizionali, quelle vecchio stampo, condotte consumando le suole delle scarpe un pedinamento dopo l’altro.

Il luogotenente carica speciale Michele Dicolangelo, barlettano, ieri ha compiuto 60 anni. Dopo una ventina tra encomi, elogi e riconoscimenti e una vita a combattere la mafia, da oggi è in (meritato) congedo. Ed è con lui che ricostruiamo 30 anni di Dia barese che può vantare qualcosa come oltre 400 ordinanze di arresto.

«Sono nella Dia dal 1992, da quando è nata - racconta Dicolangelo -. Ricordo come fosse oggi il battesimo di fuoco con l’operazione Dolmen con la quale fu sgominata la pericolosa organizzazione dedita al traffico di droga e al traffico di droga nel nord Barese».

A guidare quel gruppo criminale c’era un certo Salvatore Annacondia. «Coordinati dall’allora pm antimafia Michele Emiliano, lo abbiamo gestito noi come collaboratore di giustizia - ricorda Dicolangelo -. Annacondia era un fiume in piena. Scaltro e intelligente, sempre da un punto di vista criminale ovviamente, da collaboratore dette un grande contributo per sgominare la pericolosa organizzazione che aveva contatti anche nel Foggiano e nel Tarantino. In quel periodo si contarono 40 omicidi. Se al termine dei processi sono arrivati 31 ergastoli e centinaia di anni di reclusione, penso che lo abbiamo gestito bene. È stato il primo vero successo della Dia di Bari».

Cartagine, Chimera, Danubio, Foglie, Testimone, Staffetta 1, Staffetta 2, Staffetta 3, Skifteri, Vrima, Eskimo, Labi, Schefi, Spirti, Kulmi, Zemra sono le operazioni più importanti cui ha partecipato. Dietro quell’elenco, c’è la storia della Dia pugliese, ben 400 le ordinanze di arresto. Manca solo Crna Gora (Montenegro), sul contrabbando di sigarette tra le due sponde dell’Adriatico. «Non me ne sono occupato direttamente ma è stata una delle più importanti grazie al grande lavoro dei miei colleghi e della magistratura».

Una carriera la sua che si è chiusa come è iniziata, combattendo mafie pericolosissime e troppo a lungo sottovalutate, quella Cerignolana, del Foggiano e Garganica. «Ho concluso il mio percorso alla sezione operativa di Foggia attivata due anni e mezzo fa. Alcuni nomi sono gli stessi di quando con il pm antimafia Gianrico Carofiglio seguivo l’inchiesta Cartagine poi conclusa con 15 ergastoli passati in giudicato e centinaia di anni di reclusione. Penso che lo Stato stia lavorando molto bene se spuntano i primi pentiti anche da queste parti. I risultati sono certo arriveranno, i foggiani meritano di potere vivere serenamente».

Nella sua carriera Dicolangelo ha contribuito a sventare attentati sia nei confronti di servitori dello Stato, sia di presunti mafiosi. «Un collaboratore svelò come c’era un piano per eliminare la dottoressa Francesca Pirrelli, anche lei magistrato, moglie di Carofiglio. L’obiettivo era una ritorsione nei confronti di quest’ultimo». Ancora: «Arrestando a Riccione un pericoloso boss albanese gli abbiamo salvato la vita: il gruppo avversario aveva ingaggiato un killer per eliminarlo. Sequestrammo la taglia da 200 milioni di lire, 60 chili di eroina oltre a parrucche e vestiti che avrebbe indossato il sicario mandato dall’Albania». Le sue deposizioni nei processi Staffetta 2-3 sono state menzionate nel 25esimo compleanno della Dia dal procuratore Giuseppe Volpe. Ben 50 gli arresti disposti dal gip Michele Parisi su richiesta del pm Francesco Giannella. Il dibattimento (a rappresentare in aula l’accusa c’era il pm Eugenia Pontassuglia) si concluse con pesantissime condanne.

Già, l’Albania. Droga, traffico di uomini e di armi. Fiumi di marijuana e hashish giunti sino al quartiere Carrassi «dove ormai i malavitosi locali fanno da manovalanza ai signori della droga albanesi». «Ricordo ancora i clandestini sulle navi mercantili che arrivavano nei porti di Molfetta e Barletta con tanto di assicurazione: il «biglietto» veniva restituito se fossero stati beccati entro cinque giorni». E poi, ancora contrabbando di sigarette. «Con l’operazione Eskimo sgominammo un’organizzazione che trafficava in sigarette. Le bionde passavano dal porto di Bari anche grazie a un finanziere colluso. I carichi viaggiavano di domenica quando lo scanner non funzionava, direzione Napoli e poi Inghilterra». Tra gli aneddoti, uno è legato al traffico droga e a un upgrade nelle indagini. «Ho fatto parte della prima Sic, Squadra investigativa speciale composta da agenti italiani e albanesi. Con il mio collega luogotenente Ambrogio Raso (gdf), coordinati dal responsabile delle indagini ten. col. Massimiliano Occhiogrosso, seguimmo due corrieri viaggiando insieme in aereo da Bari a Tirana. Siamo stati alle loro costole per tre giorni di fila, il mio pedinamento più lungo in assoluto sino a nord dell’Albania per poi eseguire il primo sequestro in assoluto da parte di agenti italiani in terra albanese, nell’isola di Sarand. In un camper c’erano 400 chili di droga tra marijuana e hashish».

È questa la frontiera delle nuove indagini: «Collaborazione tra autorità giudiziaria e polizie che possono operare all’estero con il coordinamento di Eurojust». Inutile chiedergli se hai mai avuto paura nella lunga carriera. «Non si può fare questo pensando a cosa può succedere. La paura c’è ma si supera con il coraggio e tutto diventa abitudine». Consiglierebbe a un giovane investigatore di entrare nella Dia? «Sì, l’esperienza si forma sul campo e l’entusiasmo e le energie di un giovane investigatore sono preziosissimi. Basta avere molta voglia di fare e imparare».

Tra i tanti magistrati e responsabili del Centro con i quali ha lavorato, Dicolangelo stila la sua classifica: «Emiliano, Carofiglio, Francesco Giannella, Ettore Cardinali, Giovanni e Lidia Giorgio sono magistrati che non ho mai visto distanti da noi e con i quali le decisioni si prendevano insieme, tutti espressione di una magistratura sana. Sono onorato poi di avere lavorato con il colonnello Sirio Maurino, per me il migliore capo centro di Bari, un ufficiale molto preparato e competente. Un grazie infine va ai miei colleghi della Dia che vivono il loro lavoro come una missione e alla mia famiglia cui adesso potrò restituire ciò che non ho potuto dare in 30 anni di Dia».

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