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Giuseppe Dimiccoli
08 Gennaio 2020
ANDRIA - Una storia di successo personale e familiare che fa battere e sperare il cuore.
A scrivere questa bella pagina di impegno e di esempio da imitare l’andriese Nicola Basile da pochi giorni dottore in scienze dell’educazione con una tesi di laurea in sociologia del turismo dal titolo «San Nicola il grande taumaturgo» discussa Discussa all’Università degli Studi Niccolò Cusano di Roma con relatore il professor Marxiano Melotti. Cento su centodieci il voto. Nicola è un ragazzo disprassico. La disprassia, stando alla letteratura in materia, include disturbi della coordinazione motoria e mentale influendo negativamente sull’organizzazione generale del pensiero e pertanto annoverato come disturbo specifico dell’apprendimento.
«Non sapremo mai se è nato così o se lo è diventato a causa di una sofferenza perinatale. Di certo Nicola, pieno di vita sin da piccolo e ha dovuto “imparare” a camminare perché quel suo problema alla nascita gli ha, di fatto, cancellato ogni informazione relativa al movimento. Oggi ha 22 anni. Cammina bene dall’età di tre anni ma non corre e non sa saltare. Ricordo i suoi primi momenti al nido e poi alla scuola dell’infanzia. Paure, ansie. E se qualche bambino dovesse spingerlo? Saprà cadere? Saprà rialzarsi? Alla scuola dell’infanzia è stato un leader, un riferimento ed una protezione soprattutto per i bambini più piccoli», ha raccontato alla Gazzetta con il cuore pieno di gioia suo papà Francesco.
Poi, roteando il caleidoscopio delle emozioni della scuola primaria, ricorda che: «Ha imparato a scrivere e a leggere. Ovviamente legge meglio di come scrive, fra una calligrafia da mancino e gli immancabili errori ortografici tipici dei ragazzi con Dsa. Già, perché la disprassia porta alla disgrafia, alla discalculia e alla dislalia e a lui non manca nulla. Non è stato aiutato al meglio in questi primi anni scolastici, certamente complice la mancanza di conoscenza di questa forma di disturbo. Non gli è mai stato consentito di usare quaderni a righe, che avrebbero facilitato la sua scrittura come consigliato dal neuro psichiatra infantile. Ma si sa. Spesso la disprassia veniva confusa con pigrizia, con mal disposizione nei confronti delle attività scolastiche».
«Alla scuola media inizio tranquillo, poi qualche problema di, diciamolo con un eufemismo, socializzazione. Molti dei suoi ex compagni di scuola solo qualche anno dopo hanno riconosciuto di aver sottovalutato i problemi di Nicola. Siamo ancora lontani dal vedere la disprassia come un qualcosa con cui convivere piuttosto che come un problema che a sua volta si produce in problemi di relazioni. Alla fine del percorso promosso con buoni voti», ha proseguito.
Francesco, analizzando il percorso della scuola secondaria, fa sapere che: «Speravo che le cose cambiassero ma solo alcuni professori hanno veramente compreso le sue potenzialità, nascoste da quella simpatica goffaggine che lo contraddistingue. Relazioni con gli amici quasi nulle, forse perché veniva visto come un privilegiato nel poter utilizzare in classe, come legge prevede, mezzi di ausilio alla didattica, prescritti da una relazione medica, quali il computer e la calcolatrice. Probabilmente qualche professore ha perso una occasione per spiegare agli altri ragazzi cosa è la disprassia, come si manifesta e come si può gestire. Poi un esame di maturità “più che normale” si è diplomato col voto di 73/100».
«Nicola vuole andare all’università. Come negargli questa gioia? Un soggetto disprassico non sopporta molto gli stress emotivi. Come affronterà quello legato agli esami? Tutti orali e rigorosamente davanti ad una regolare commissione esaminatrice. Primi esami superati. Bene. Si iscrive al secondo anno. Va avanti. Viene bocciato ad un paio di materie, a testimonianza di un percorso che non gli ha regalato nulla. Si riprende. Li affronta, tutti. Arriva a chiedere la tesi ad un professore che, con la sua enorme filantropia ed umanità, crede in lui, lo incoraggia, lo stimola. Insomma, sa chi è Nicola, riesce a tirar fuori il meglio di lui. Lo ripaga di tanti anni di solitudine», ha proseguito Francesco.
«Ho portato alla luce questa storia per dire a quanti si ritrovano con un meraviglioso figlio disprassico, come meraviglioso è Nicola, che non sono ragazzi “diversi”, ma persone con una straordinaria sensibilità che, imparando a gestire le proprie abilità al meglio, danno il meglio - ha concluso Francesco -. Come genitori, ciascuno svolgendo un ruolo ben preciso ma egualmente fondamentale per la sua crescita e la sua maturazione, lo abbiamo seguito. I sacrifici non sono mancati e non mancano ma. Nicola ora è laureato dopo i canonici tre anni di studio, non un giorno di meno ma nemmeno un giorno di più. Quando abbiamo saputo del suo problema mi sono chiesto se e dove avrei trovato la forza di seguirlo, sorreggerlo, accompagnarlo mano mano. Oggi lo guardo negli occhi e lì trovo la forza per farlo. Trovo lui». Chapeau e grazie caro dottor Nicola.
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