di Gianluigi De Vito
Gira la ruota. Ma non per loro, i 190 dell’ex Om. E non è un caso che hanno scelto di essere lì, a Piazza Diaz, cuore della Bari in festa, oggi pomeriggio alle 15.30, mezzora prima dell’inaugurazione di Diamond Wheel, la ruota panoramica montata per dare divertimento e sguardi lunghi, fino a primavera. Davanti alla Ruota di Diamante è in programma il primo grido organizzato e pubblico di indignazione per la promessa andata a vuoto. Un presidio di rabbia e delusioni gridate in coro da Fiom Cigl, Fim Cisl, Uilm Uil e Ugl metalmeccanici, dopo il sit in di ieri davanti alla sede del consiglio regionale in via Capruzzi .
I vertici della «Tua industries» hanno comunicato ai sindacati che non ha avuto sbocco il negoziato con il Fondo d’investimento russo «Renova», avviato nella speranza di trovare i milioni di euro necessari alla reindustrializzazione dell’ex Om, e quindi a produrre minicar elettriche dove un tempo si sfornavano carrelli elevatori. Un progetto che si è sdraiato appena dopo essere stato reso pubblico con la firma del contratto di sviluppo e dell’accordo di programma tra governo, Regione e azienda. Insomma, appena dopo aver messo nero su bianco, i mal di pancia degli investitori (il fondo americano Lcv che ha fatto nascere la società Tua Autoworks e quindi Tua Industries) si sono materializzati. E ad agosto scorso, Tua Industries ha annunciato la crisi di liquidità creatasi dopo l’uscita di scena di Lcv dal progetto minicar.
E il primo punto di rabbia che farà il giro sotto la ruota della protesta riguarda proprio questo elemento: ma perché le istituzioni sono state alle finestra davanti a un’azienda messa in liquidazione prima ancora di avvitare un solo bullone? «Tua» ha fatto credere che morto un papa se ne sarebbe fatto subito un altro. E invece il pontefice Renova non è mai uscito dal conclave. Trapelano particolari che non trovano conferme, ma che vengono accreditati da più fonti. Le trattative di negoziato con Renova sarebbero state condotte a Zurigo nel quartiere generale della Oerlikon Graziano, gruppo che gravita nell’orbita del Fondo. Il perché del «no grazie»? «Progetto giudicato troppo piccolo e di nicchia rispetto alle velleità di posizionamento di mercato coltivate dai russi», dice una fonte che vuole l’anonimato. Ma tant’è.
Resta il punto e a capo. E la fine di una promessa che brucia forte perché s’aggiunge, nei sei anni, ad altri tentativi falliti di reindustrializzazione: «Saltalamacchia», «Frazer-Nash», «Q-Bell», «Bluetec».
Martedì prossimo, 12 dicembre, il capo della task force della Regione, Leo Caroli, vedrà azienda e sindacati al tavolo di crisi. Primo punto: il futuro dei 190, che sono stati assunti dalla «Tua» per essere subito posti in cassa integrazione. Che scade il 21 dicembre.
I sindacati in coro chiedono che s’affronti subito la proroga della cassa integrazione. Tecnicamente si può, perché si tratta di una reindustralizzazione avviata. E come la «Tua» sono nelle stesse condizioni altre aziende in Italia. Tocca al governo deliberare. E il 21 è dietro l’angolo.
«Guai a gettare la spugna. Il progetto è ancora vivo: c’è l’opificio, si sono i lavoratori assunti e soprattutto i soldi pubblici», ammonisce Franco Busto, segretario della Uilm Puglia. Aggiunge: «Dobbiamo chiederci come mai sono venuti meno i 12 milioni dei privati in un’operazione che prevede altri 36 milioni di fondi pubblici dei quali 12 milioni a fondo perduto. La verità è che non c’è stata nessuna cordata pugliese o barese. E il rischio è che se non va in porto a Bari il progetto minicar viene realizzato altrove perché è già in una fase avanzata». Fa eco Gianfranco Micchetti, segretario provinciale della Fim: «Ora bisogna fare pressing a tutti i livelli perché è una delle più importanti vertenze del territorio di Bari. Se molliamo adesso significa abbandonare i lavoratori e questo non possiamo permettercelo».
Invoca l’intervento di Cassa depositi e prestiti, Saverio Gramegna, segretario provinciale della Fiom: «Non si può delegare una reindustralizzaione che tocca la vita reale di tante persone alle speculazioni dei fondi d’investimento internazionale. Gli investimenti della Cdp hanno e devono avere una ragione sociale come quella di non far perdere lavoro agli italiani». Così Antonio Caprio, segretario provinciale Ugl: «Chiediamo che martedì 12 ci dicano effettivamente come stanno le cose, ormai non si può continuare ad illudere le famiglie di 190 lavoratori».