BARI «Non sono importante io. Ma questa maglia che abbiamo addosso». La tocca, quella maglia. Con fare deciso. E gli occhi che si accendono, quasi d’incanto. Non ci può essere un tifoso del Bari che resti distaccato di fronte a questa immagine. Perché non è una recita. Ma il culmine di un percorso a metà strada tra la vita e il calcio. Lui è Anthony Partipilo. Barese di San Girolamo, mancino dotato di fantasia e un cuore che pulsa a ritmo... biancorosso. Di bravo ragazzo non ha solo la faccia. È proprio così. Uno di quelli a cui non puoi non voler bene. No, non puoi fare a meno di gridargli «bentornato a casa». Casa sua, già. Come in un film con il lieto fine.
Sono passati già tanti giorni. Partipilo, cosa le resta delle sensazioni del suo ritorno a Bari?
«Dieci anni dopo è una bella emozione. Per me questa maglia rappresenta tantissimo e l’esordio a Venezia mi ha regalato sensazioni bellissime. Peccato per il risultato, perdere non è mai bello. Ma sono tornato a casa e sono felice ugualmente aspettando risultati migliori».
Alle spalle un’estate caldissima. Il Bari ha subito mostrato grande interesse muovendosi in anticipo. Anche perché c’era concorrenza...
«L’estate, in effetti, è stata movimentata. Ma alla fine è andato tutto come speravo. Sin dalle prime battute del calciomercato i miei agenti erano in contatto con il direttore Magalini e con Valerio Di Cesare. L’accordo l’abbiamo raggiunto in un batter d’occhio. C’era solo da sistemare qualcosa con il Parma che è proprietaria del mio cartellino. È andato tutto bene. E, ripeto, la mia felicità è immensa. Volevo essere qui e sono stato accontentato».
Si parla tanto di un Partipilo non al top della condizione atletica. Come stanno le cose?
«È la verità. Purtroppo non ero nel gruppo squadra a Parma e quindi non ho lavorato da solo. Sto bene ma ho bisogno di mettere minuti nelle gambe».
Il curriculum di Partipilo parla chiaro. Cosa devono aspettarsi i tifosi del Bari anche alla luce del rinforzato bagaglio di esperienza accumulato nelle ultime stagioni?
«C’è mancato poco che arrivassi qui prima. Ma, poi, si sa che le trattative non sono mai semplici e a volte possono saltare anche per cavilli. Meglio tardi che mai, però. In questi dieci anni ho compiuto un percorso abbastanza faticoso. Quando sono andato via da Bari ero giovanissimo e mi è toccato ripartire dalla serie D. Poi, pian piano, ho costruito la mia carriera e mi sono spinto fino alla serie B. Ora sono a casa, con una maturità e una consapevolezza diverse. Ho i miei difetti, certo. Commetto anche io errori. Ma quello che posso promettere è che darò sempre il massimo per questa maglia attraverso sacrifici e lavoro».
Un ritorno in pompa magna come si conviene a un calciatore importante. Ai calciatori importanti, però, si chiede qualcosa in più. A un barese, figurarsi... Le piace questo ruolo sapendo che non saranno solo rose e fiori?
«È normale che da me ci si aspetti tantissimo da me. Ma a prescindere da questo ci tengo a dire che sono molto autocritico. A Venezia, per esempio, non ho giocato bene. Però so quello che posso dare ai compagni. Per rispondere alla domanda, sì mi piace. Amo prendermi le giuste responsabilità sapendo, certo, che ci sono pro e contro. Ho trent’anni ma ho ancora tanto da imparare. Nel calcio è così. Guai a sentirsi arrivati. In ogni allenamento si può crescere in qualcosa. Ma i tifosi sappiano una cosa: non sono importante io, Anthony Partipilo, ma questa maglia che portiamo addosso».
Da lei ci si aspetta fantasia. Ma anche gol.
«Nelle ultime stagioni non è andata benissimo sul piano realizzativo. E torniamo al discorso della necessità di migliorarsi sempre. Il numero di gol di Partipilo conta meno del rendimento della squadra. A me preme che il Bari vada forte. Io mi metterò a disposizione del mister sperando di segnare più possibile, non posso negare che sarebbe bellissimo».
Tanta baresità in rosa anche grazie a Castrovilli, Bellomo, Manzari.
«Eravamo dei ragazzini e ci siamo ritrovati qui. Siamo baresi e indirizziamo i compagni anche nel vivere la città spiegando la nostra mentalità».
Come la mettiamo con quei quattro gol segnati al Bari da avversario?
«Ho sempre avuto il cuore diviso a metà e infatti non ho mai esultato perché da barese non avrei mai potuto farlo. Certo, ho fatto il professionista. E credo sia normale».
Cosa le chiede Caserta?
«Ogni partita ha una preparazione diversa. Poi ci sono i concetti classici del 4-3-3. Quando si soffre c’è da aiutare la squadra e appena si può provare ad attaccare. Dalla metà campo in su Caserta vuole che liberiamo la fantasia».
Chi le ricorda un tecnico come Caserta?
«Per filosofia di calcio lo vedo abbastanza vicino a Vivarini. Poi è ovvio che ogni allenatore abbia modi diversi di parlare, spiegare e vivere i dettagli».