GRAVINA IN PUGLIA - I litigi per il lavoro, le mediazioni della famiglia Lacarpia per fermare le denunce, la sospensione degli psicofarmaci nelle ultime due settimane. E poi l’immagine di una persona che, anche quando si accorge di essere ripresa in video, continua a infierire sul corpo della vittima. Emergono nuovo dettagli sulla lunga storia di presunti maltrattamenti subiti da Maria Arcangela Turturo, la donna morta a Gravina in Puglia la notte del 6 ottobre 2024 e per il cui omicidio è stato fermato suo marito, Giuseppe Lacarpia, 65 anni. L’uomo avrebbe prima dato fuoco alla macchina dove i due si trovavano, poi, alla fuga della donna, si sarebbe scaraventato su di lei e le avrebbe messo le mani alla gola. La 60enne è deceduta successivamente in ospedale, dopo aver raccontato alla figlia quanto era successo.
La testimonianza della figlia riportata sull’ordinanza di non convalida di fermo di indiziato di delitto, nonché di applicazione della misura cautelare in carcere, offre un quadro più completo sul rapporto tra i due genitori e, soprattutto, sulla possibilità che l’omicidio sia stato effettivamente premeditato.
«La storia dei miei è infinita, l'ha fatta arrivare almeno tre volte al pronto soccorso, la maltrattava»: inizia così il drammatico racconto della figlia. Dopo la morte dei suoi genitori, riporta la donna, Lacarpia sembrava depresso, e così Turturo lo fece visitare. Circa sei anni fa gli fu diagnosticato l'Alzheimer e la demenza senile, fu ricoverato in psichiatria perché due volte tentò il suicidio. Dopo una cura di circa due anni, i rapporti tra i due coniugi sembrava si fossero appianati. La figlia sostiene che suo padre sembrava stesse bene e che non ci fossero più particolari problemi, era sempre presente a sé stesso, lucido e capace. I medici avevano consigliato alla donna di stargli un po' dietro, di non lasciarlo solo, ma Lacarpia - insiste la figlia - era capace di badare a se stesso. Negli ultimi 15 giorni, poi, avrebbe smesso di prendere i farmaci: la moglie se n'era accorta, trovava le pillole nella tazza del bagno.
Ma prima di tutto ciò, c'erano già stati gli episodi di violenza e le denunce. E anche dopo essersi rivolta alle autorità, i maltrattamenti sarebbero continuati. Ma Turturo, racconta la donna, non ha più denunciato perché la famiglia di lui interveniva per mediare. Si rifugiava per una settimana dalle figlie e poi tornava a casa dal marito: «Si confidava con noi figli, voleva andare via».
I litigi sarebbero cominciati per i debiti dell'azienda di famiglia. Tanta era la disperazione che, nel 2009, la signora Turturo aveva dato fuoco al trattore di Giuseppe Lacarpia. Le liti, ha raccontato la figlia, degeneravano spesso in violenza fino a quando il padre accoltellò uno dei figli, nel 2011. L'uomo non avrebbe mai accettato di essere finito in carcere per quell'atto di violenza, e, forse, «non aveva mai smesso di covare rabbia nei confronti della coniuge». «I miei fratelli volevano aiutare mia madre», ha riportato agli inquirenti la donna, che racconta anche di una sorta di ultimatum da parte dei figli alla madre: le avrebbero chiesto di scegliere tra loro e la famiglia del padre, ma Turturo, per farsi aiutare, chiamava la suocera o i parenti di lui per cercare di appianare le cose. Nonostante tutto, si continuava a preoccupare per il marito. Il giorno dopo avrebbe dovuto persino accompagnarlo all'appuntamento di controllo con lo psichiatra.
«Papà si progettava le cose, come ha progettato esattamente la morte di mia madre», si legge nella testimonianza, che riporta anche l'ultimo tentativo di suicidio del padre. A settembre 2024, la vittima lo aveva scoperto mentre si stava preparando una flebo, e poi si è rinchiuso in un capannone nell'azienda di famiglia. Quel giorno, l'arrivo dei carabinieri e dell'ambulanza fermarono l'estremo gesto.
I testimoni: «Gli urlavamo di lasciar stare la donna, ci ha guardato e non ha detto nulla»
Sono stati sentiti anche i tre testimoni dell'aggressione di Lacarpia nei confronti della vittima. Uno di loro racconta che, passando di lì, avevano visto un incendio in lontananza e, avvicinandosi, avevano sentito la donna chiamare aiuto. Lacarpia, così come testimoniato anche dai video, era in ginocchio di fianco alla moglie che «aveva le mani su di lei, sembrava sul petto». A quel punto, racconta il testimone, i ragazzi volevano uscire dalla macchina per aiutare la signora, ma temevano che Lacarpia fosse armato. Loro erano molto vicini all'auto in fiamme e, quando Lacarpia li ha visti, si è alzato ed è rimasto qualche secondo in piedi, li ha guardati mentre gli urlavano di fermarsi ma non rispondeva. Poi, si è rimesso sopra di lei e ha ripreso a spingere con le mani sul petto della donna.
È poi arrivata una seconda macchina con due ragazzi a bordo, che intimavano ai tre arrivati prima di allontanarsi. Il testimone racconta che, allora, temendo che i due c'entrassero qualcosa e potessero far loro del male, si è rinchiuso in auto assieme ai suoi amici. A quel punto Lacarpia si è allontanato dalla moglie e avrebbe urlato ai ragazzi di allontanarsi, poi ha preso la borsa della moglie e si è allontanato sul ciglio della strada, senza dir nulla. A quel punto i ragazzi hanno aiutato la donna e sono stati chiamati i soccorsi.
La premeditazione: la scusa della «valigia rosa»
L'ipotesi, si legge sull'ordinanza, è che l'incendio dell'auto sia di tipo doloso, con lo spargimento di benzina sotto la vettura in corrispondenza del motore. Inoltre, Lacarpia avrebbe fornito «freddamente» una versione alternativa dei fatti (quella cioè di un mero incidente stradale). Si conferma, inoltre, la possibilità della premeditazione, provata soprattutto dalla condotta strana del Lacarpia nei giorni e nelle ore precedenti al fatto (tra cui l'insistenza nell'usare la sua macchina quella sera per andare a una festa di famiglia, da cui stavano rientrando la notte dell'aggressione, nonostante la contrarietà della figlia).
Vi è poi un altro dettaglio, riportato dal genero della vittima, il marito della figlia: il giorno prima il delitto, Lacarpia aveva preso la macchina del figlio dicendo, al rientro alla moglie, che vi era una valigia rosa sotto il ponte che dava fastidio e che, quindi, lui era uscito con la macchina per spostarla. In quel frangente, sostiene il genero, l'uomo potrebbe aver acquistato la benzina e l'ha nascosta per poi utilizzarla la notte dell'omicidio. Quella della valigia sarebbe stata una bugia perché la valigia era ancora lì, a circa 15 metri dal luogo del delitto. Inoltre, l'uomo racconta che il suocero percorreva la strada in questione ogni giorno e mai una velocità tale da schiantarsi. Sono stati anche gli agenti intervenuti, si legge nell'ordinanza, a esprimere perplessità n quanto un'autovettura alimentata a diesel molto difficilmente prende fuoco dopo un incidente autonomo.