BARI - Il broker che fornì la falsa fideiussione da 9 milioni a garanzia non truffò l’Interporto né l’allora amministratore Davide Degennaro, ma mise semmai in atto una tentata truffa alla Regione che - anche a seguito della scoperta del documento falso - revocò i finanziamenti pubblici concessi per i lavori. Rivedendo al ribasso la condanna al 42enne napoletano Alberto De Cristofaro, la Corte d’appello di Bari ha riscritto la storia collegata al mancato raddoppio del centro intermodale privato poi venduto a un fondo americano. Criticando allo stesso tempo le indagini della Procura di Bari.
In primo grado De Cristofaro è stato condannato a un anno e un mese per truffa e tentata truffa, oltre che al risarcimento dei danni a favore di Davide De Gennaro, Interporto e Regione con una provvisionale di 9mila euro a testa. I giudici di appello (Seconda sezione, presidente Civita, relatore Oliveri del Castillo) hanno invece assolto il broker dall’accusa di truffa alle parti private («perché il fatto non sussiste»), riducendo a otto mesi la condanna per tentata truffa alla Regione.
La vicenda è collegata ai 90 milioni di fondi europei per il raddoppio di Interporto. Nel 2016 la Regione aveva chiesto alla società di presentare una garanzia finanziaria a fronte dell’anticipo di 9 milioni ottenuto nel 2013 e non speso. Solo che, appunto, l’assessorato ai Trasporti chiese conferma alla lussemburghese Gable Insurance sull’effettiva esistenza della fideiussione depositata da Degennaro. La compagnia rispose che era falsa. Quasi in parallelo, anche l’imprenditore barese venne contattato da quello che sembrava essere il (vero) broker della Gable in Italia, che gli annunciava l’avvio dell’istruttoria per il rilascio. A quel punto Degennaro richiamò l’intermediario (De Cristofaro) che gli restituì i 270mila euro versati per la polizza, e presentò anche lui querela.
Il Tribunale monocratico aveva stabilito che De Cristofaro truffò l’Interporto e (di conseguenza) tentò di truffare la Regione: nel secondo caso è contetato solo il tentativo perché il broker ammise la falsità della polizza e restituì i soldi, dunque la falsa garanzia non operò mai. Una vicenda che la Corte d’appello ha definito «piuttosto singolare», ritenendo però «irrealistico ed infondato» che De Cristofaro abbia voluto truffare De Gennaro «procurandosi un ingiusto profitto che immediatamente dopo restituiva con assegni circolari, senza guadagnarci nulla, laddove evidentemente c’erano interessi più complessi e articolati sottesi alla paventata perdita dei finanziamenti regionali».
«La Regione Puglia - proseguono le motivazioni - appare unico soggetto vittima certa della procedura nella quale l’imputato è parte attiva (in concorso con terzi) attraverso l’emissione di un certificato falso in concorso con soggetti rimasti estranei e sui quali non si sono appuntate sufficientemente le attenzioni degli inquirenti». Qualcuno, insomma, potrebbe averla fatta franca: «Ad avviso della Corte l’imputato è stato coinvolto da altri soggetti rimasti estranei all’indagine in un tentativo di truffa poi abortito sia per i limiti strutturali della falsa polizza fideiussoria, sia per il passo indietro operato dallo stesso De Cristofaro che informava i soggetti destinatari della polizza fideiussoria dei dubbi sulla bontà della stessa, pur dopo averla ricevuta e veicolata dai terzi coinvolti».
Anche la tentata truffa è comunque ormai prescritta, con la Regione (difesa dall’avvocato Francesco Zizzari) che al momento è l’unica ad aver diritto al risarcimento dei danni: all’imputato basterà che il ricorso per Cassazione venga dichiarato ammissibile. Anche Interporto (avvocato Luca Castellaneta) e Degennaro (avvocato Francesco Triggiani) hanno presentato ricorso per Cassazione, ormai ai soli fini civili, rilevando un errore di diritto dal momento che le due condotte contestate al broker sono tra loro connesse.
I 90 milioni per il raddoppio dell’Interporto alla fine sono stati revocati, con il Consiglio di Stato che nel 2018 ha confermato «un giudizio di complessiva inaffidabilità» della società all’epoca controllata dalla famiglia Degennaro e poi passata a un fondo americano.