BARI - Si preannuncia una nuova battaglia nelle aule della giustizia amministrativa. Con il Comune di Bari che ancora una volta non ci sta alla realizzazione dell’impianto di ossicombustione previsto in via Corigliano alla zona industriale.
La giunta comunale ricorre nuovamente al Tar per bloccare il progetto della Newo Spa, l’impianto che da anni fa discutere i territori interessati (c’è anche Modugno) e fa insorgere i comitati degli ambientalisti.
Questa volta Palazzo di Città affila le armi legali su un doppio binario: da una parte si rivolge al Consiglio di Stato per chiedere l’annullamento della sentenza del Tar Puglia che a fine anno ha gelato i Comuni confermando l’iter amministrativo dell’impianto, dall’altra interpella i giudici di primo grado di piazza Massari per impugnare il verbale conclusivo della conferenza di servizi che il 19 dicembre scorso ha dato il via libera all’impianto prevedendo alcune prescrizioni. Quella stessa conferenza che pare non aver dato risposte chiare alle perplessità sollevate a più riprese dai territori interessati e dai comitati che si battono per la tutela ambientale.
Insomma, una partita complicata e non a caso l’amministrazione comunale ha deciso di affiancare ai legali dell’avvocatura interna uno dei massimi esperti in materia di beni culturali ed ambientali, il professor e avvocato Francesco Saverio Marini. Ciò che l’amministrazione vuole contestare è soprattutto la sentenza del Tar che a dicembre scorso ha accolto le tesi esposte dalla Regione Puglia (in quanto parte resistente), dalla Newo Spa (controinteressata) e dalla Itea Spa, la società progettista dell’impianto e titolare del brevetto della tecnologia di ossicombustione «flameless», confermando la legittimità del provvedimento di proroga della Via (la Valutazione di impatto ambientale).
«Nessun riferimento normativo – hanno scritto i giudici nella sentenza - prevede la necessità e l’obbligo di avviare una nuova fase di consultazione e/o partecipazione degli enti e soggetti potenzialmente interessati: è infatti requisito essenziale per un mero provvedimento di proroga, la sussistenza al momento dell’istanza dell’efficacia dell’atto a cui si riferisce, ferme restando le condizioni e i requisiti sui quali l’atto originario si fonda».
E inoltre nel caso specifico «l’atto originario (la Via rilasciata rilasciata dagli uffici regionali nel 2018) e già assentito dalla Regione, è stato avallato dal Consiglio di Stato che ha accertato la regolarità e la fattibilità tecnico giuridica dell’impianto».
Tesi che ovviamente il Comune di Bari vuole ribaltare, non essendo del tutto convinto di questo inceneritore di nuova generazione che utilizza l’ossigeno per bruciare i rifiuti, seppur prometta di non essere inquinante. Le presunte criticità avanzate sin dall’inizio dai Comuni di Bari e Modugno e da diverse associazioni ambientaliste e comitati vertono su più punti: quale tipologia di rifiuti verrà bruciata e da dove arriveranno questi rifiuti, ma soprattutto la destinazione finale sia delle emissioni prodotte con l’ossicombustione, in particolare l’anidride carbonica scaricata dal camino, e sia delle perle vetrose, cioè il materiale inerte residuo del trattamento dei rifiuti. «L’impianto va bloccato», ha sempre ribadito il sindaco Antonio Decaro evidenziando il contrasto dell’opera con la pianificazione regionale sul ciclo dei rifiuti e perplessità sulla richiesta di finanziamento da 10 milioni di euro presentato dall’azienda foggiana, ma poi respinto dagli uffici regionali dello Sviluppo Economico.