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Bari dice addio al mitico cinema Esedra, sala simbolo della città

 
Francesco Monteleone

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Francesco Monteleone

Bari dice addio al mitico cinema Esedra, sala simbolo della città

Un gruppo già pronto a rilevarla? Palumbo: «Non deve morire c’è chi raccoglierà la sfida per dargli nuova luce»

Venerdì 03 Novembre 2023, 13:04

Chi si nutre (e mai si sazia) di film se passa in questi giorni da largo monsignor Curi nel quartiere Madonnella noterà la saracinesca serrata del cinema custodito nel fianco della parrocchia San Giuseppe e certamente proverà la vertigine della finitezza.

Da molte settimane l’Esedra, nobilissima sala di seconda visione che ha avuto dagli anni ‘70 in poi un’enorme importanza culturale, è tristemente chiuso. Sembra dirci in silenzio: Memento mori, sappi che si muore e tutte le cose, anche le più belle hanno il destino perituro. Così, proviamo a fare una «rammemorazione» di ciò che fu per la vastità delle offerte, per la meticolosità delle ricerche, per l’esorbitante partecipazione giovanile, un fenomeno unico e indimenticabile. Non basterebbe un catalogo di mille pagine per mettere insieme tutte le magie fatte da Fraccalvieri e dai suoi sodali cinefili. Il cinema di San Giuseppe, edificato nel 1953, prima di chiamarsi «Esedra» fu conosciuto come cinema «Capitol» e successivamente «Felix». Quella sala con una platea molto capiente e un palcoscenico rettangolare di 5x10 metri ha sempre irradiato dignità, orgoglio a chi si affacciava sulla sua scena. Durante 70 anni l’Esedra, per garantirsi la vita, ha ricevuto più ammodernamenti, ma fino all’ultimo giorno ha sempre conservato più di 300 posti e quella proiezione rettangolare con restringimento verso lo schermo per il quale nelle ultime file ci vuole una vista di dieci decimi (come allo stadio San Nicola).

Il direttore artistico di «Filmakers», Angelo Ceglie ci dice: «Il prof. Angelo Fraccalvieri fu la mia guida umanistica negli anni del Ginnasio all’Orazio Flacco. Lui aveva preso da poco tempo la gestione del cinema Esedra e seppe indirizzare immediatamente noi studenti alla visione del mitico cineforum; riuscì da subito a stabilire un dialogo con altri insegnanti e cinefili (ricordo Gino Bassanti); in classe creò relazioni di fiducia con gli allievi. Rivedo un piccolo gruppo di 5-6 persone che proponeva titoli di pellicole introvabili, se non a Roma o Milano; fu un percorso graduale, paziente, ostinato nel quale quel gruppo di pionieri rielaborò una soluzione unitaria di consumo cinematografico.

Ebbene, il cineforum del Flacco, programmato il lunedì, diventò un successo enorme tanto che presto dovettero allungarlo anche al martedì per soddisfare le centinaia di studenti partecipanti. Fu un’epoca avventurosa per il cinema d’essai: «Fragole e sangue», il documentario musicale «Woodstock», «Taxi driver». L’Esedra diventò il posto super-frequentato da un pubblico trasversale; borghesi e proletari, studenti e docenti, belli e brutti, giovani e vecchi! Vivemmo un fenomeno culturale duraturo; in quella fantastica socializzazione ci furono incontri ravvicinati di primo tipo, insomma parecchi giovani si innamorarono e sposarono.

Per il regista Antonio Palumbo evocare il suo passato di spettatore ha un potere di fascinazione. «Io abitavo a Japigia e l’Esedra era un’ottima soluzione ricreativa; da casa potevo andare a piedi e senza nemmeno avere molti soldi, perché era un fondamentale cinema di seconda visione. Quella mia contaminazione nel Madonnella si è trasformata in un poetico scambio. Lì dentro ho proiettato tutti i miei film, lì dentro ho accompagnato i minorenni ai quali faccio lezioni di cinema; e lì dentro ho intrecciato la mia più complessa tresca amorosa. Io sapevo poco o nulla del cinema espressionista tedesco, ma c’era una ragazza che aveva quelle conoscenze esoteriche; attratto da tanta raffinata cultura filmica, la seguii nel sacrario dell’Esedra e sviluppai un differente metodo di seduzione. Quel cinema non deve morire, garantisce l’autenticità di un quartiere che ricorda molto la ex Berlino est, è un luogo, non più remoto, dove oggi ci sono correnti di scambio tra indigeni, migranti, briganti e mercanti. Te lo dico senza mentire: c’è già chi raccoglierà la sfida danarosa e miracolosa di dare una nuova luce all’Esedra. E io mi candiderò a lavorare, per non dissipare le memorie e le speranze della mia adolescenza».

Infine il critico Michele Falcone: «Andavo una volta alla settimana, all’Esedra. Ogni volta l’attenzione era attratta dalle due severe e austere figure che si incontravano all’ingresso: Michele, il proiezionista eterno e il prof. Fraccalvieri alla cassa, due astri pomeridiani che segnavano la via in quella galleria. Michele, ormai vecchissimo lo incontro ancora e lui mi saluta. Il prof. non è stato risparmiato alla vita dal Covid, ma sta lì, sempre. La sua immagine s’apparenta a quella di Alfonso Marrese e Vito Attolini, intellettuali che sono state boe luminose in mezzi a tanti fuochi fatui».

«Io non posso adattarmi a questa rovinosa chiusura. Nella mia memoria emergono due segni di quel medesimo tempo: “L’umanità” di Bruno Dumont, film splendido del 1999. E poi un cinguettio. Puoi non credermi, ma quando mi fermavo a parlare con il proiezionista, sentivo un continuo cip cip che non era frutto delle mie allucinazioni. Facendomi coraggio, un giorno chiesi a Michele se pure lui ascoltava il canto degli uccelli e lui mi disse che certamente lo sentiva perché proveniva dalla sua cabina dove i volatili, in gabbia, gli facevano compagnia. Ebbene nel diffuso impoverimento di suoni che sta trasfigurando Bari, quando passo lì vicino ancora lo sento quel cinguettio».

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