Domenica 07 Settembre 2025 | 20:44

Bari, la storia di un neonato morto a 13 giorni: «Enea ucciso da un batterio in ospedale»

 
Flavio Campanella

Reporter:

Flavio Campanella

Bari, la storia di un neonato morto a 13 giorni: «Enea ucciso da un batterio in ospedale»

La mamma: «Nessun operatore si è accorto che stava male»

Martedì 17 Ottobre 2023, 12:01

BARI - Gli ha costruito un angolo di paradiso nella cappella di famiglia, dove c’è un piccolo giardino prima abbandonato e adesso rigoglioso perché curato minuziosamente, giorno dopo giorno, dalla fine dicembre, cioè da quando il figlioletto Enea è spirato fra le sue braccia nella Terapia intensiva neonatale del Policlinico a nemmeno due settimane dalla nascita. Mara Gargano, 38 anni, di Molfetta, è inconsolabile. Ha superato la fase più critica, ma il processo di elaborazione del lutto è ancora in corso.

«Sarà lungo. Ma sento innanzitutto il dovere - afferma - di dover pubblicare quanto è successo. Da madre ancora disperata, voglio dare voce al mio povero bambino deceduto in ospedale a causa della negligenza dei dottori del reparto di Neonatologia. Ho deciso di chiamarlo Enea perché, da sempre affascinata dai nomi della mitologia greca, una notte ho sognato di chiamarlo così. E mi piace immaginarlo un guerriero degno di lode anche ora che non c’è più. Del resto, ha lottato fino all’ultimo respiro».

Il dramma di Mara ha inizio l’11 dicembre scorso, quando incinta al settimo mese si è accorta di avere delle perdite senza però immaginare cosa gli avrebbe riservato il futuro. «Ho avuto una gravidanza un pochino complicata - racconta - ma, dopo tante peripezie, il mio bambino è venuto al mondo sano, sebbene prematuro. Pesava quasi due chili e respirava autonomamente, nonostante fosse in incubatrice. I medici mi hanno subito rassicurato: presto sarebbe stato dimesso. Del resto, i giorni passavano e io mi prendevo cura di lui, alimentandolo con il mio latte, sebbene gli venisse somministrato tramite un sondino vista l’età gestazionale. Prima delle festività ho percepito qualcosa di strano, ma i medici mi hanno tranquillizzato. Il giorno di Natale i peggioramenti erano evidenti, ma in corsia, piuttosto che insospettirsi, si pensava a festeggiare con prosecco e biscotti. A Santo Stefano sono arrivata nel reparto e ho trovato Enea fuori dall'incubatrice, spostato in subintensiva. “Non si preoccupi, il bambino sta bene” mi hanno detto. In realtà era tremante e schiumava latte dal naso, ma le mie sollecitazioni erano inascoltate. Anche gli altri genitori concordavano: il bambino non stava bene. Ma, fidandomi del personale e non potendo restare in Tin, sono andata via alle 23, sebbene in stato confusionale. Mi sentivo strana, ho anche fatto chiamare dal mio compagno intorno a mezzanotte: gli hanno risposto di aver rimesso Enea in incubatrice perché non riusciva a riscaldarsi. Alle 7 del mattino del 27 dicembre, mentre tiravo il latte, ho ricevuto una chiamata. “Fate presto: Enea è in gravissime condizioni”. Mio figlio era in shock settico a causa, abbiamo poi scoperto, di una infezione da escherichia coli. È stata una via crucis. In reparto si respirava un’aria pesantissima, ho visto il direttore furioso. Ha fatto di tutto per salvarlo, ma evidentemente era ormai troppo tardi. Ho preteso di abbracciarlo fino all’ultimo istante. Il bambino se ne è andato alle 3 di notte».

La vita spezzata di Enea coincide con la vita interrotta di Mara, laureata in Marketing e comunicazione, tornata in Puglia per amore dopo una lunga esperienza a Londra. «Sono andata in Gran Bretagna dieci anni fa dopo un master - dice -. Il mio obiettivo era intanto perfezionare l’inglese e poi lavorare nell’ufficio acquisti o comunicazione di aziende del settore moda. Ho cominciato come come addetta alle vendite nello store di un noto marchio, poi mi sono occupata dell’allestimento delle vetrine a Covent Garden e a Oxford Street. Quindi ho trovato un impiego come product manager per un’azienda famosa per l’offerta di abbigliamento femminile di tendenza. Andava tutto bene. E ogni estate tornavo in Puglia per le vacanze. In una di queste ho conosciuto Corrado, che ora ha 48 anni. Mi ha confidato sin dal primo momento di essere innamorato di me da quando eravamo bambini. È stato sorprendente e mi ha lusingato ovviamente. Poi, tre anni fa, dopo la prima ondata del Covid, abbiamo trascorso insieme due settimane. Ho deciso allora di tornare e di mettere su famiglia. Il 26 aprile 2021 sono sbarcata definitivamente a Bari, a giugno ho scoperto di essere incinta. Ma poi il mondo mi è crollato addosso. Non nego che la situazione sia molto difficile. Il rapporto col mio compagno è cambiato. Non so se supereremo questo periodo delicato. Ci si dà delle colpe, io sono arrabbiata con il mondo. Per fortuna la mia famiglia c’è sempre. Senza di loro non so cosa avrei fatto il giorno della morte di Enea».

La tragedia ha lasciato ferite che si rimargineranno col tempo, ma che lasceranno il segno per sempre. Per questo l’azienda ospedaliero universitaria rischia di pagare un conto molto salato. Mara Gargano si è rivolta a uno studio legale milanese. «Ho cercato un avvocato lontano da Bari per essere certa non ci fosse alcun legame in loco. La perizia del consulente di parte ha ricostruito che al di là di ogni ragionevole dubbio Enea è morto a causa dell’infezione e della negligenza del Policlinico. Per questo procederemo per vie legali. Ma principalmente voglio che si dia luce a questa storia per far sì che quello che è successo ad Enea non capiti mai più. Non è possibile che mentre si festeggia il Natale, negli ospedali ci sia personale inesperto o incapace. Il mio medico di famiglia ha sempre detto: “Sperate sempre di non aver bisogno di ricovero durante le feste”. Ma non è solo questo. Hanno tentato di far passare la tesi che sia stata io a trasmettere l’infezione ad Enea, che però subito dopo la nascita è risultato negativo al batterio che lo ha poi ucciso. Semmai c’è da aggiungere il motivo per il quale sono stata costretta a partorire in anticipo: una infezione vaginale non riscontrata, nonostante fossi ricoverata da giorni in Ginecologia per la perdita di sangue. Se mi avessero fatto il tampone immediatamente e mi avessero dato l’antibiotico sarei tornata a casa per proseguire la gravidanza. Ma è incredibile anche ciò che è accaduto dopo la morte del bambino. Siamo stati praticamente buttati fuori dal reparto senza nessun supporto psicologico. Mio figlio si trovava in un obitorio terribile, sembrava la scena di un film horror. Ho fatto tanta psicoterapia per uscire da questo incubo. Mi venivano attacchi di panico. Ancora oggi, grazie a una associazione che offre sostegno in caso di lutto perinatale, noi mamme accomunate dalla stessa esperienza ci videochiamiamo da tutta Italia una volta alla settimana. In più ho una psicologa di riferimento. Dopo il parto ho anche rischiato di non avere più figli perché l’infezione si è trasformata in endometrite cronica. Sento che l’unico modo che mi resta per andare avanti è avere altri bambini. Anche Enea secondo me sarebbe d’accordo. Glielo dico sempre quando vado a trovarlo al cimitero. Gli darò un fratellino o una sorellina».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)