Ebbene no. Non siamo stati sconvolti dai nudi ambosessi che hanno affollato l’ inizio al I atto del Tannhäuser di Wagner, in scena al Teatro Petruzzelli (prima volta a Bari), quando il cavaliere-cantore soggiorna nella «caverna di Venere» irretito dalla dea pagana col suo amore sensuale: anzi la trovata del regista Uwe Eric Laufenberg appare utile a solleticare pruriti voyeristici, curiosità e flussi turistici, ma nulla sottrae, e nulla aggiunge, alla fruizione del capolavoro wagneriano. Si dia poi per scontato il pregio e il limite degli allestimenti tedeschi, questo del Staatstheater di Wiesbaden, così lineari e geometrici scenicamente nell’ ambientazione novecentesca, nel rigore dell’ orchestrazione (qui col direttore Michael Güttler), nell’ impeccabile dizione dei cantanti. Il surplus servito di crudité-nudité (nudi smaltati e compassati più che sensuali, in effetti) lascia il protagonista solo, dopo il lungo prologo con video di visioni romane-vaticane e poi con extatiche visioni tipo Lsd, dopo l’ abbandono del Venusberg, il peccaminoso Monte di Venere: resta solo a dibattere il conflitto fra «amor profano» rifiutato con Venere e «amor sacro» anelato con la casta principessa Elisabeth.
Opera cruciale di Wagner (è del 1848, anno rivoluzionario!) dove il dissidio irrisolto fra sensi e spirito, fra carne e anima, è sublimato dalla musica, fusa con la parola: in primis l’ ouverture contiene i motivi e temi dell’ opera, dal totale valore simbolico ma con qualche residuo (vedi alcuni concertati) della «vecchia maniera». Dopo lo sconvolgente I atto (qui la scena chiusa e geometrica da Interno Berlinese si apre a sfondi di natura e boschi) con la «fuga» di Tannhauser e il suo ritorno alla corte cavalleresca dei «cantori» e di Elisabeth. Il II atto si prolunga alquanto nella «gara poetica» dei cavalieri, dove qui tornano elementi di Medioevo (in mantelli, croci e posture varie) visto che poi il Tannhäuser storico, un Meistersinger, sarebbe del 1200. Molto suggestivo (qui la regia segna un colpo, così la scena e i costumi di Rolf e Marianne Glittenberg) è tutto il III atto con la grande croce riversa in un paesaggio di neve e gelo: il pellegrinaggio a Roma di Tannhauser ha mancato la grazia del perdono, Elisabeth la Santa si sacrifica e muore per salvare l’ anima dell’ amato, peccatore ma poeta. Questi rifiuta l’ ultimo allettamento della Venere pagana e in abito da sera (solito accompagno di qualche nudo, con coppe di champagne) anzi si esala nel sacrificio, s’ immola e si salva l’ anima, nella gloria luminosa del paradiso cristiano.
Magnifica la musica, in pieno sinfonica, con squilli alternati a romanticissimi passaggi, aperti su «paesaggi musicali» timbrici estremamente coinvolgenti. Ottima e puntuale la resa dei cantanti in campo, così del Coro guidato da Fabrizio Cassi, per non dire dell’Orchestra del Petruzzelli in gran spolvero sotto la direzione di Michael Güttler. Applauditi molto dall’abbondante pubblico nel Petruzzelli (restato fedele e costante fino in fondo, ad onta delle quasi 4 ore di durata) sono stati i protagonisti del notevole spettacolo: Aaron Cawley era Tannhauser mano mano sempre più convinto e convincente (domani canta Heiko Borner) , Elisabeth era una Betsy Horne di gran carisma (anche ci sarà Elena Bezgodkova), la Venere era l’ intensa mezzosoprano Jordanka Milkova. Anche validi Birger Radde (Wolfram) e Young Doo Park (Langravio).
Il Tannhäuser si replica stasera (h 20.30), poi domani e dopodomani (h 18.00).