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Bari, vittima innocente di mafia: «Buon compleanno, Michele»

Bari, vittima innocente di mafia: «Buon compleanno, Michele»

 
Isabella Maselli

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Isabella Maselli

Bari, vittima innocente di mafia: «Buon compleanno, Michele»

Il racconto di Pinuccio e Lella Fazio, genitori del 16enne ucciso il 12 luglio 2001

Giovedì 21 Settembre 2023, 13:18

14:34

BARI - Oggi Michele Fazio avrebbe compiuto 38 anni. Ne aveva quasi 16 quando fu ucciso, nella piazzetta sotto casa sua, a Bari Vecchia, con la mamma Lella che lo aspettava per cena e aveva già messo a riscaldare la pizza, e lui di ritorno da una serata trascorsa con gli amici sul lungomare.

Era il 12 luglio 2001. Teatro della tragedia largo Amendoni. In questi 22 anni la città è cambiata, Bari Vecchia è cambiata, «stravolta» dicono Pinuccio e Lella, i genitori di Michele. Loro vivono ancora lì e continuano a parlare ai ragazzi, nelle scuole, nelle piazze, nelle parrocchie, nelle associazioni: «Salvatevi». Lo hanno detto anche a uno degli assassini di Michele. Lui, Francesco Annoscia, 18enne all’epoca dell’omicidio, dieci anni dopo, era il 2011, ha scritto una lettera dal carcere chiedendo «perdono» e loro prima gli hanno risposto, poi hanno voluto incontrarlo.

La loro storia l’hanno raccontata migliaia di volte, ne hanno fatto un libro, un’opera teatrale, ma per capirne il messaggio potente, per comprendere come il cammino di questi due genitori abbia trasformato quel dolore in speranza, è necessario affidare alle loro parole, ancora una volta, il racconto di quelle ore drammatiche e tutto ciò che ne è seguito.

IL RACCONTO DELLA TRAGEDIA: «ABBIAMO UCCISO UN RAGAZZO BUONO» Finita la terza media, Michele andò a lavorare in un bar, mentre frequentava le superiori in una scuola serale. Aiutava la famiglia pagando qualche bolletta, mentre mamma Lella faceva qualche lavoretto per arrotondare lo stipendio del marito Pinuccio, ferroviere, che in quel periodo lavorava e viveva in Lombardia. «All’epoca Bari Vecchia non era come oggi, qui era tutto buio, c’era il coprifuoco, tanto spaccio» racconta Lella. La sera del 12 luglio 2001, Pinuccio era in ferie. Michele passò a dargli un bacio alle 18.45, «l’ultimo bacio» dice il papà, come se fosse ieri, prima di raggiungere gli amici sul lungomare. «Michele diceva che i figli delle famiglie mafiose lo invidiavano, per gli abbracci della mamma, per l’amore» dice Lella.

Al compleanno dell’anno prima, per i suoi 15 anni, i genitori gli avevano regalato un telefonino. «Lo pagavo 10mila lire al mese, lui era felicissimo, adesso quel telefono sta nella bara» racconta Pinuccio, che sul suo di telefono ha poi messo la sim con il numero di Michele. E come ogni sera, anche quella in cui fu ucciso, Michele con il suo telefonino chiamò casa per avvisare che stava tornando. «Faceva caldo, Sotto casa c’era tanta gente, una settantina di persone, anche bambini - ricorda Lella - alle 22.40 squillò il telefono, era Michele: “riscalda la pizza, sto arrivando” disse. In quell’attimo sentimmo una decina di colpi, capimmo subito che erano colpi di pistola». In quella guerra tra i clan rivali Capriati e Strisciuglio, fu ammazzato per errore un innocente, «un ragazzo buono» dissero gli stessi assassini. Da quel giorno Pinuccio e Lella hanno lottato per avere giustizia. E presto, accanto alla ricerca della verità sulla morte di Michele, hanno iniziato un cammino per «salvare la città e i suoi giovani».

IL CAMMINO DI LELLA E PINUCCIO: «CAMBIATE, O RESTATE NELLA MERDA» «Volevo lasciare Bari, la città mafiosa che aveva ucciso Michele, volevo portare mia moglie e i miei figli lontano, ma Lella decise di restare e lottare» racconta Pinuccio. Il giorno dei funerali, in una Cattedrale strapiena, «Lella salì sull’altare e al microfono fece avvicinare tutti i giovani. “Voi siete il nostro futuro - disse loro - , siete il nostro domani, salviamola questa città e salvatevi pure voi”». Nel primo anniversario dell’omicidio, il 12 luglio 2002, fu inaugurata la scultura che ancora oggi sorge dove giaceva il corpo insanguinato di Michele Fazio. «Cambiate, o restate nella merda» disse Lella rivolgendosi ai mafiosi, «a voi che credete di avere il potere nelle mani, che state dietro le finestre». A gennaio 2003 il caso fu archiviato. «Lella cominciò a bussare alle porte della criminalità organizzata e della gente perbene alla ricerca della verità» racconta Pinuccio e un anno dopo l’inchiesta fu riaperta. A maggio 2005 gli assassini di Michele furono arrestati. «Fu la nostra primavera, l’inizia di una nuova battaglia» dice Lella, e «così abbiamo iniziato il lungo cammino, nelle piazze, nelle scuole, nelle parrocchie, nelle associazioni». «La prima volta che ho parlato in una scuola - ricorda Pinuccio - c’erano tanti ragazzi, mi tremava la voce. A un certo punto mi sentii spingere in avanti. Michele era come quei ragazzi e da quel giorno sono diventato un fiume in piena. Oggi parliamo ancora ai giovani, per salvarli dalle mani delle mafie».

L’INCONTRO CON L’ASSASSINO DI MICHELE: IL PERDONO Una mattina di aprile del 2011 arrivò una lettera dal carcere. Era firmata da Francesco Annoscia, uno dei giovanissimi che quel 12 luglio di dieci anni prima aveva fatto parte del commando di fuoco che uccise Michele. «Spero che un giorno possiate perdonarmi» era l’ultima frase della lettera, descrivendo il «macigno sullo stomaco che non andrà mai via» e chiedendo «scusa, per quello che vale». Passò qualche settimana e i coniugi Fazio decisero di rispondere. «Ci auguriamo che il suo gesto - gli scrissero – sia il frutto di un ripensamento autentico, profondo e irreversibile: sarebbe il modo migliore per ricordare la morte di Michele», chiedendo però di più: «Il cordoglio non basta. Noi le chiediamo di cambiare vita, di scegliere da che parte stare. Nostro figlio non ci verrà mai restituito. Ma una sua parola di verità e giustizia su quella tragica notte, sul perché di una morte assurda, aiuterà lei, noi e molti altri ad andare avanti e a liberarci dalla violenza e dalla paura».

Anni dopo, quando ormai Francesco Annoscia aveva finito di scontare il suo debito con la giustizia per l’omicidio di Michele Fazio, Pinuccio e Lella lo hanno incontrato. Un incontro in un luogo protetto. «Quando lo vidi, pensai che aveva la stessa età di Michele. Lo abbracciai - ricorda Lella - , lo chiamavo figlio mio e lui mi promise un impegno per una vita diversa, per suo figlio. Quando mi vuole venire a trovare, la porta è aperta». «Nella mia tragedia - dice Lella - ho incontrato persone speciali, il nostro avvocato Michele Laforgia, Stefano Fumarulo, una semplice mamma di Bari Vecchia, che anche grazie a loro ha avuto la possibilità di fare qualcosa di importate per gli altri. Gli assassini di Michele li abbiamo perdonati, erano ragazzini, ma non perdoneremo mai chi ha armato le loro mani».

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