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Bari, Savino Parisi «è ancora il capo», no alla liberazione anticipata

 
Isabella Maselli

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Isabella Maselli

Bari, Savino Parisi «è ancora il capo», no alla liberazione anticipata

La Cassazione motiva così l’ok alla revoca del beneficio al capo clan di Japigia

Mercoledì 28 Giugno 2023, 13:27

BARI - Le più recenti condanne di Savino Parisi sono «indice della inalterata posizione di vertice all'interno del gruppo criminale di appartenenza e risultano, quindi, incompatibili con il mantenimento del beneficio» della liberazione anticipata. Con questo ragionamento la Corte di Cassazione ha motivato la decisione con la quale ad aprile aveva detto no al ricorso di Parisi, confermando l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Perugia (competente territorialmente su Terni dove Parisi è detenuto) di revoca della liberazione anticipata concessa al boss. Una revoca che è costata al capo clan di Japigia un allungamento dei termini espiazione della pena fino a maggio 2026, quindi tra poco meno di tre anni.

La decisione dei giudici di sorveglianza (su richiesta della Procura generale di Bari) risale a ottobre 2022 e fa riferimento a un periodo di circa 11 anni (1998-2009), motivata «a causa della commissione di gravi reati da parte del Parisi nel corso della espiazione della pena in periodi successivi alle concessioni della liberazione anticipata», come emergere da tre sentenze. «Capo storico di una famiglia di criminalità organizzata che egemonizza alcuni quartieri della città di Bari - avevano riassunto i giudici umbri citando la sentenza della Corte d’Appello di Bari del novembre 2005 - continuava ad impartire comandi, tramite “ambasciate”, anche dal carcere almeno sino al marzo 2000».

Da un altro verdetto (giugno 2018) emerge quella che Perugia definisce la «forza carismatica del capo» così «spiccata che, quando questi entra in carcere, i progetti di pacificazione tra gruppi che il Parisi stava portando avanti vengono ultimati dal suo luogotenente con Parisi garante pur se detenuto». Infine, dall’ultima sentenza presa in considerazione emerge anche come «Parisi abbia continuato a dirigere e gestire dalla detenzione gli affari del suo gruppo criminale di riferimento per come deducibile agli elencati colloqui svolti in istituto penitenziario dall’interessato». Secondo la magistratura di merito barese proprio dai colloqui «emerge la sua capacità di tenersi aggiornato e di veicolare informazioni utili alla vita del clan del suo territorio almeno sino all’aprile 2015». Tutto questo aveva indotto il Tribunale di Sorveglianza di Perugia a concludere per la «inalterata posizione di leadership nel gruppo criminale» di Parisi.

Una decisione impugnata in Cassazione dalla difesa del boss, gli avvocati Rubio Di Ronzo e Raffaele Quarta. Nei mesi scorsi i giudici della Suprema Corte hanno detto no al capo clan e ora se ne conoscono i motivi. «è opportuno ricordare - si legge nel provvedimento - che ai fini della revoca della liberazione anticipata per delitto non colposo commesso dal condannato nel corso dell'esecuzione della pena, spetta al Tribunale di sorveglianza la valutazione dell'incidenza del reato sull'opera di rieducazione intrapresa, nonché il grado di recupero fino a quel momento manifestato e la verifica di ascrivibilità del fatto criminoso al fallimento dell'opera rieducativa o a un'occasionale manifestazione di devianza».

In questo caso, secondo la Cassazione, il Tribunale di sorveglianza di Perugia, «ha osservato che la commissione di delitti nel corso della detenzione, da parte del Parisi, per i quali sono intervenute sentenze irrevocabili di condanna riguardanti gravi fatti di criminalità organizzata, per i quali era stata riconosciuta la continuazione, erano indice della inalterata posizione di vertice» di Savinuccio nel clan da lui storicamente capeggiato.

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