BARI - Aveva 43 anni quando, il 16 novembre 2014, si ricoverò al Policlinico per l’asportazione di un nodulo alla tiroide. Fu operata il giorno dopo e dimessa dopo 48 ore. Da allora è iniziato un incubo. Quasi totalmente afona, con fenomeni di dispnea e apnea anche più volte al giorno, si è nuovamente ricoverata dopo qualche mese per sottoporsi ad un altro intervento chirurgico di tracheostomia che le ha impedito il fatale soffocamento ma non le gravi difficoltà respiratorie né l’afonia quasi totale.
A seguito di ulteriori consulti medici la donna scoprì che quei sintomi derivavano ad una paralisi bilaterale delle corde vocali. Al dramma umano si è aggiunto in questi anni il calvario giudiziario, con la causa per il risarcimento dei danni tuttora pendente, dopo continui rinvii per la decisione, l’ultimo pochi giorni fa a ottobre 2024.
Citato in giudizio il Policlinico, a febbraio 2016, la causa civile per il riconoscimento di un risarcimento danni è ormai pendente da sette anni. Il consulente tecnico nominato dal Tribunale ha depositato la sua relazione a luglio 2016 che ha accertato il nesso causale tra l’intervento e le lesioni riportate: durante l’operazione di asportazione del nodulo, cioè, erano stati lesionati alcuni nervi con conseguente paralisi delle corde vocali. Lesioni definite «irreversibili», con invalidità riconosciuto del cento per cento.
La donna «dovrà, per tutta la sua esistenza - si legge nel ricorso - vivere cioè respirare, parlare cioè comunicare con gli altri, compresi i propri figli, attraverso l’apertura creata e, nei momenti di difficoltà emotiva e fisica, manovrare la cannula per ottenere un maggiore apporto di ossigeno. Non può più lavorare e non può più attendere alle sia pur minime attività domestiche. Con tre figli, ancora adolescenti, non le è consentito un minimo dialogo e ancora meno un rimprovero sia poiché parla con difficoltà sia poiché ogni cambiamento di umore o movimento porterebbe a gravi crisi respiratorie». Una situazione che, oltre alla «deturpazione evidente» sul corpo di una giovane donna, avrebbe causato alla paziente «un grave stato depressivo». Sulla base di queste considerazioni il legale della donna, ora assistita dall’avvocato Francesco Maria Colonna, ha chiesto un risarcimento dei danni all’ospedale ma il Policlinico, evidenzia il ricorso, non ha mai risposto alla proposta transattiva.
A febbraio 2017 si è celebrata la prima e unica udienza dinanzi al giudice del Tribunale civile di Bari Oronzo Putignano con rinvio al novembre successivo per dare il tempo alle parti di depositare eventuali ulteriori memorie e quindi per decidere. Da quel momento nessuna altra udienza è stata celebrata e la sentenza ancora non c’è stata, con cambi di giudici e continui rinvii, alcuni dei quali per «il rilevante carico del ruolo e il considerevole numero di cause precedentemente iscritte a già introitate per la decisione». Vale a dire che il giudice ha troppo lavoro e non riesce a occuparsi di tutti i processi nei tempi previsti, facendo slittare di anno in anno la decisione, tenuto conto che di mezzo, a partire dal 2020, si è messa pure la pandemia. L’ultimo rinvio di un anno fa aveva fissato finalmente la data della sentenza al 22 giugno, tre giorni fa. Ancora niente di fatto, «visto il gravosissimo carico del ruolo e delle udienze già calendarizzate». Nel provvedimento di rinvio al 19 ottobre 2024, quindi a dieci anni esatti dai fatti, il giudice rileva «che l’elevato numero delle cause fissate per la precisazione delle conclusioni o per la discussione orale e decisione, eccedente la quantità di cause che può essere ragionevolmente smaltita per udienza, nonché il carico dei procedimenti già trattenuti in decisione o comunque riservati o da riservare anche nelle prossime udienze, non consente di trattenere in decisione anche la presente controversia».