BARI - «Papà, il rigore non si tira così!». Quando Franco Spagnuolo, sospeso nell’incredulità, ha ricevuto a caldo da Parigi la telefonata del figlio filosofo si è sentito doppiamente scosso «da una partita che non me ne ricordo altre simili negli ultimi 40 anni». In primis la delusione per l’errore di Cheddira (un’opportunità sbagliata che potrebbe valere la promozione in A o la condanna a pernottare in serie B); poi riscoprire che suo figlio, intellettuale, è ancora «malato del Bari» come quando era bambino. E noi, dall’Olimpo del tifo biancorosso, cogliamo una testimonianza emozionante che ci gonfia il cuore, alla Edmondo De Amicis.
Non ci vuole una laurea in Scienze sociali per capire che «malato del Bari» significa che impazzisci per il pallone, ma soprattutto che la tua anima cartesiana ti fa dire in ogni momento della giornata: «Il Bari, ergo sum». Franco Spagnuolo è oggi un imprenditore eclettico che gestisce una catena di locali di tendenza iper-gustosi; ma appartiene a quel gruppo di tifosi ingarbugliati da una fede calcistica che dura tutta la vita, per la quale mai essi assistono in silenzio o in disparte alle avventure della propria squadra; combattono al suo fianco sugli spalti casalinghi o su quelli nemici, in barba ai pericoli, ai costi, ai gendarmi, al tempo che fugge. Sono briganti buoni disciplinati da tre norme tumultuose: sempre uniti, sempre indomabili, sempre fieri dei propri colori.
Spagnuolo, estroso studente del liceo «Fermi» creò il gruppo dei «Viking» poi confluito al San Nicola nel più affollato gruppo della Curva Nord. «Chiuso lo striscione» giovanile, Spagnuolo ha creato il nuovo centro coordinamento dei «Bari Club» che attualmente sono 33 in tutto il mondo: Lussemburgo, Berlino. Dublino…il più lontano e numeroso si trova a Santiago del Cile con circa 300 iscritti. «Mi sono antenucizzato» ci dice con sedimentata autoironia (chi non capisce lo spassoso riferimento se lo faccia spiegare di persona; qui non abbiamo sufficiente spazio tipografico).
«Feriti dal fallimento della società, con l’avv. Claudio Petruzzelli (n.b. altro eroico tifoso) ci impegnammo a salvare la memoria e la tradizione biancorossa con un rinnovato archivio storico e accompagnando i calciatori nelle scuole; creammo la “Bari siamo noi”, con l’associazione ci affiancammo a Paparesta per rigenerare i Bari-club che crebbero fino a 6.000 iscritti. Oggi quel serbatoio di tifosi è meno visibile. Non sappiamo con precisione quante persone sono ancora realmente coinvolte, ma i Bari-club sono solidali, inclusivi, duraturi, sempre impegnati nella doppia identità di volontari e beneficiari della cultura biancorossa.
De Laurentis ricambia con gratitudine?
«Questa proprietà, che pure dice di fare squadra, vive con distacco il mondo dei tifosi. Lo dico senza polemizzare, siamo da loro riconosciuti, ma forse dovremmo essere più nel mezzo di questo circolo virtuoso che ci sta riportando in Serie A».
Ieri, dov’eri?
«Al Chiosco “Cool” in Torre Quetta, con mio fratello e mio nipote; ho fissato nell’american bar un maxischermo 3x2 ed ecco che sono arrivati in quella meravigliosa piazza marittima decine di giovani i quali, gratuitamente, hanno potuto scalpitare per il risultato».
Giudicaci l’accaduto…
«È stata una partita divertente, fulminante, terribilmente emozionante; ne abbiamo vissute tante di promozioni, ma questa rinascita inaspettata, questo coinvolgimento generale così ampio non me lo ricordo… sembra un disegno provvidenziale che sta tenendo il più possibile uniti i politici, gli imprenditori, il popolo. Al chiosco sentivo un’atmosfera virtuosa, data dal meeting di sportivi non scalmanati, riuniti in una coscienza viva. Ai punti certamente avremmo superato il Cagliari, ma nel calcio conta chi segna. Eppure eravamo sicuri di un epilogo felice. Il mare alimentava una crescente e indimenticabile onda emotiva».
Ora non ci rimane che poter raccontare l’ultima meraviglia; domenica prossima dove sarai?
«In tribuna, con i soliti familiari, mio fratello Gianluca, mio nipote Andrea e senza soluzione di continuità, con Riccardo Arzano da Trani con il quale dal 1984 vediamo tutte le partite insieme».
Come ti travestirai?
«Maglietta nera di Antenucci; quando si parla del Bari mi piace ritornare fanciullo».
Giusto! Il calcio è il recupero settimanale dell’infanzia ha scritto il grande Javier Marias in “Selvaggi e sentimentali” E ora esprimi un desiderio.
«Speriamo di abbracciarci con chi non conosciamo…».