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Bari, via Pappacena: i palazzi non saranno confiscati

 
Isabella Maselli

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Isabella Maselli

Bari, via Pappacena: i palazzi non saranno confiscati

Il contenzioso iniziato nel 2004. Prosciolto il costruttore De Gennaro. Il Tribunale: «Il reato è prescritto ma gli atti siano trasmessi alla Corte dei Conti»

Martedì 24 Gennaio 2023, 13:32

BARI - I terreni su cui sorgono i palazzoni di via Pappacena al quartiere Poggiofranco non saranno confiscati, ma dell’eventuale danno erariale causato dalla loro realizzazione si occuperà la Corte dei Conti. Lo ha deciso il Tribunale di Bari che, dichiarando la prescrizione del reato di lottizzazione abusiva, non potrà accertare se l’abuso edilizio si sia mai consumato e di conseguenza ha stabilito di non disporre la confisca dei suoli e delle opere realizzate. Tuttavia, nel telegrafico dispositivo della sentenza le cui motivazioni si conosceranno tra 90 giorni, ha disposto la trasmissione degli atti ai magistrati contabili. Si chiude così, almeno per il momento, dopo quasi vent’anni, la vicenda giudiziaria sulla costruzione dei palazzi di via Pappacena: 350 appartamenti su 12 edifici di 13 piani che negli ultimi decenni sono stati al centro di polemiche e contenziosi. Ora è arrivato il tempo a scrivere la parola fine: troppo tardi per accertare gli eventuali reati commessi dai costruttori, i fratelli imprenditori Daniele Giulio e Giovanni Degennaro. Per il primo il Tribunale ha dichiarato il proscioglimento per prescrizione, per il secondo per morte dell’imputato.

LA VICENDA - La prima denuncia sulle presunte irregolarità risale al 2004. La vicenda, tra sequestri penali e giudizi amministrativi, è arrivata in aula dieci anni dopo. L’accusa era lottizzazione abusiva, con il Comitato di cittadinanza attiva del quartiere Poggiofranco di Bari, rappresentato dall’avvocato Luigi Paccione, costituito parte civile. Stando alle indagini del pm Baldo Pisani, quei palazzi sarebbero stati costruiti abusivamente in un’area inizialmente destinata dal Piano regolatore a servizi per la residenza. Secondo l’impostazione accusatoria, cioè, i due costruttori avrebbero realizzato i palazzi «in mancanza di un piano di lottizzazione». Si tratta dell’ultimo pezzo di un’inchiesta più ampia che vide inizialmente coinvolti anche funzionari del Comune nei confronti dei quali il pm aveva ipotizzato l’abuso d’ufficio, salvo poi chiedere e ottenere l’archiviazione non avendo individuato elementi a loro carico. Il complesso edilizio di via Pappacena (il cantiere fu sequestrato nel 2005 e poi dissequestrato in seguito ad una sanatoria approvata dal Comune), era stato realizzato al termine di una lunga istruttoria che, iniziata nel 1994 e conclusa nel 2007, aveva portato all’accordo di programma, approvato definitivamente tra Regione e Comune, per la realizzazione degli appartamenti destinati ad appartenenti alle forze dell’ordine, ma che invece - questione, questa, fuori dal processo - sarebbero stati poi venduti anche a politici e professionisti.

L'ACCUSA E LA SANATORIA - Tecnicamente si chiamano «articolo 18», cioè case realizzate in deroga agli standard urbanistici (cioè in aree non edificabili) con l’obiettivo di ospitare a canone agevolato appartenenti alle forze dell’ordine e personale (anche civile) impegnato nel contrasto alla criminalità. Secondo il pm, l’accordo di programma che ne consentì la costruzione non era valido perché approvato dal Consiglio comunale quando i termini erano già scaduti. Una questione sulla quale, sul piano amministrativo, si è consumata poi la battaglia davanti a Tar e Consiglio di Stato, costringendo infine il Comune ad avviare una nuova sanatoria per reperire gli spazi per soddisfare gli standard minimi urbanistici, ovvero 18 metri quadrati per abitante con un deficit complessivo di 1.038 in base a un decreto del ministero del Lavori pubblici, estensione che schizza a 4.332 se si prendono come unità di misura i parametri delle norme tecniche di attuazione del prg. Così Palazzo di Città, proprio al fine di compensare questo deficit, quasi un anno fa ha stabilito di destinare una porzione di terreno tra due corpi di fabbrica esteso circa 3.800 metri quadrati destinata a «servizi», in particolare «attrezzature di interesse comune»; nonché di asservire alla funzione di «standard per l’istruzione a servizio del programma edificatorio» altri due terreni comunali estesi 10.700 metri quadri.

IL PROCESSO E LA SENTENZA - Quanto alle accuse contestate ai costruttori De Gennaro, assistiti dall’avvocato Gaetano Castellaneta, le presunte violazioni di norme previste dal testo unico dell’edilizia, ammesso siano state commesse, sono state ormai travolte dalla prescrizione. Per portare a termine il processo di primo grado, complici il trasloco per rischio crollo del vecchio Palagiustizia e poi la pandemia, ci sono voluti quasi altri dieci anni dall’inizio del dibattimento. È stato lo stesso pm Pisani nei mesi scorsi a chiedere che venisse dichiarata la prescrizione e che non fosse disposta alcuna confisca, perché sarebbe stato un provvedimento «sproporzionato». Nel corso della discussione finale, inoltre, il Comitato di cittadini costituito parte civile, tramite l’avvocato Paccione, ha evidenziato che quella lottizzazione era stata realizzata anche con il contributo di denaro pubblico, con un finanziamento di circa 10 milioni di euro. Di qui l’ipotesi di un danno erariale, condivisa evidentemente dal giudice Ambrogio Marrone, il quale ha disposto la trasmissione degli atti alla Procura della Corte dei Conti.

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