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Norman Atlantic, otto anni fa il naufragio che causò 31 morti: ora è il tempo della giustizia

 
Isabella Maselli

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Isabella Maselli

Norman Atlantic, otto anni fa il naufragio che causò 31 morti: ora è il tempo della giustizia

Sarebbero salpati tra qualche ora di otto anni fa, da Patrasso, diretti ad Ancona, per l’ultima traversata del 2014 per lavoro o per riabbracciare le loro famiglie e trascorrere la fine dell’anno insieme

Martedì 27 Dicembre 2022, 13:04

BARI - Sarebbero salpati tra qualche ora di otto anni fa, da Patrasso, diretti ad Ancona, per l’ultima traversata del 2014 per lavoro o per riabbracciare le loro famiglie e trascorrere la fine dell’anno insieme.

Quando lasciarono il porto ellenico non sapevano quello che li aspettava, in quella notte glaciale, tra gli inverni più freddi degli ultimi anni, con il mare in tempesta, una bufera di neve, vento gelido fino a 70 nodi e onde altissime. All’improvviso, a bordo del traghetto Norman Atlantic, scoppiò un incendio e la vita di molti di loro non sarebbe stata più la stessa. Le fiamme in pochi minuti divennero indomabili fino a provocare il naufragio della nave e l’evacuazione degli oltre 500 passeggeri. In 31 morirono, 19 dei quali risultano ancora oggi dispersi, e altri 64 rimasero feriti.

Otto anni dopo e a quasi tre dall’inizio del processo, si attende il verdetto sulle presunte responsabilità di quel disastro. Si avvicina, cioè, il momento della giustizia.

Alle 3.09 della notte tra il 27 e il 28 dicembre 2014 a bordo della motonave, in navigazione dalla Grecia all’Italia in quel momento al largo delle coste albanesi, scoppiò un rogo su uno dei ponti dove erano parcheggiati decine di tir. La nave – hanno accertato le indagini coordinate dalla Procura di Bari - era partita in condizioni meteo «proibitive», caricando a bordo un numero di camion frigo superiore alle prese di corrente disponibili, che quindi dovevano viaggiare con i motori accesi. Da uno di questi sarebbe partita la scintilla fatale. L’allarme antincendio, però, scattò solo alle 3.23 e passarono altri minuti preziosi prima che fosse attivato l’impianto.

La nave ormai era spacciata, «come una brace al vento» hanno detto i pm Ettore Cardinali e Federico Perrone Capano nella requisitoria finale del processo. E poi le confuse fasi di evacuazione, con alcuni passeggeri caduti in mare per le passerelle montate male, la scialuppa di salvataggio messa in mare con a bordo un terzo delle persone che avrebbe potuto contenere, l’equipaggio in preda al panico. Quando l’incubo finì e i naufraghi furono salvati, all’alba del giorno dopo, erano infreddoliti, affamati, in lacrime. Avevano respirato fumo per ore, acqua e vento avevano spaccato la pelle. Alcuni avevano i piedi ustionati. Per giorni sono andate avanti le ricerche dei dispersi fino ai numeri finali del disastro: Charif Racha, 15 anni, morto annegato, Mohammad Raed, 6 anni, nell’elenco degli scomparsi, le due vittime più giovani.

Dinanzi al Tribunale di Bari, dopo un lungo incidente probatorio eseguito a bordo del relitto annerito, ormeggiato per anni nel porto di Bari prima di essere demolito in Turchia, il dibattimento per accertare le colpe di avrebbe potuto e forse dovuto prevenire e gestire meglio quella situazione, è iniziato a febbraio 2020.

In 26, l’armatore Carlo Visentini della società Visemar, proprietaria del traghetto, i due legali rappresentanti della greca Anek Lines, che aveva noleggiato la motonave, il comandante Argilio Giacomazzi e 20 membri dell’equipaggio, oltre alle due società, rispondono, a vario titolo, di cooperazione colposa in naufragio, omicidio colposo e lesioni colpose plurime oltre a numerose violazioni sulla sicurezza e al codice della navigazione.

La Procura ha chiesto complessivamente 23 condanne fino a nove anni di reclusione e sanzioni pecuniarie fino a 600 mila euro per le due società. Il processo è ormai alle battute finali. Sono in corso le arringhe difensive (il 4 gennaio toccherà a quella del comandante Giacomazzi). La sentenza è prevista entro fine gennaio.

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