BARI - Solo dieci anni fa dominavano il mondo delle costruzioni del Sud, sedevano in Parlamento, tiravano le redini del calcio da Bari fino all’Europa. Amavano definirsi i Kennedy di Puglia, acquartierati nella palazzina di Japigia in cui a ciascun piano corrispondeva un fratello, un fortino dove per generazioni sono stati decisi affari e destini. Ma la parabola discendente dei Matarrese ha toccato il fondo in una calda mattina d’autunno. Il punto d’arrivo, o forse quello di partenza, di una amara faida di famiglia.
È da qui che conviene partire per capire cosa è accaduto negli ultimi due anni e perché ieri mattina la Guardia di Finanza, su ordine dei pm baresi Lanfranco Marazia e Desirèe Digeronimo, ha perquisito le abitazioni e gli uffici dei fratelli Amato e Antonio, 79 e 82 anni, e dei nipoti Salvatore, 60 anni, e Marco, 49, entrambi figli di Michele, accusati di concorso in quattro episodi di bancarotta fraudolenta insieme a quattro amministratori delle società del gruppo (Valerio De Luca, 61 anni di Surbo, Oronzo Trio, 42 anni di Lecce, Lello Pellecchia, 53 anni di Bari, e Marco Mandurino, 49 anni di Bari). Secondo chi indaga avrebbero provocato il fallimento di una delle società del gruppo, la Icon, e avrebbero tentato di svuotare la Finba, la holding di famiglia che fa capo ai quattro fratelli maschi e che a cavallo degli anni 2000 controllava un impero da mille miliardi di lire.
Le ipotesi di accusa, secondo cui le manovre messe in atto dagli amministratori delle società di famiglia avrebbero causato un buco da 320 milioni (esclusa la vicenda di Punta Perotti), non riguardano uno dei quattro rami della famiglia, quello che faceva capo a Vincenzo, l’ex presidente del Bari calcio scomparso a giugno 2016.
Bisogna però tornare al 2014 l’anno in cui il gioiello del gruppo, la società di costruzioni che porta il nome e il cognome del patriarca della famiglia, chiede il concordato preventivo per far fronte a 250 milioni di debiti. Il piano prevedeva il trasferimento delle attività di costruzione della Salvatore Matarrese spa a una «newco», la Matarrese srl, che dopo un anno doveva essere acquistata da un’altra società di famiglia, la Strade e Condotte.
Dopo l’avvio del concordato la «srl» è stata affidata a Peppe Matarrese, avvocato, uno dei figli di Vincenzo. È il più giovane e il più determinato dei nipoti. Ma la «srl» ha faticato a ripartire sulla strada degli appalti pubblici che per decenni hanno fatto crescere il gruppo, e Peppe è entrato in rotta di collisione con gli zii e i cugini. Fino a essere esautorato e sostituito da Salvatore «piccolo», il figlio di Michele. Alla base della rottura profondi dissensi sulle scelte strategiche. Ma in fin dei conti questa è soprattutto una storia di soldi.
La proprietà della holding Finba è suddivisa tra quattro dei fratelli maschi (il quinto è Giuseppe, vescovo di Frascati morto nel 2020), ma non in parti uguali. Così come aveva voluto il patriarca Salvatore, Vincenzo e Michele avevano ottenuto il 30%, e Amato e Antonio il 20% ciascuno. A Vincenzo è succeduta la moglie (l’unica ad aver accettato l’eredita), che ha quattro figli e che tra le altre cose ha ereditato un credito di 3 milioni di euro nei confronti della Finba. L’arma della lite.
Dopo la rottura in famiglia in molti hanno tentato la mediazione. Tra loro un vecchio e saggio amico, il commercialista Michele Giura, storico braccio destro di Antonio che aveva preparato un piano per risanare Finba. La società avrebbe pagato i creditori extragruppo (Amco e Prelios), mentre i soci (gli eredi di Vincenzo, oltre che Michele) sarebbero stati rimborsati attraverso la cessione delle partecipazioni della Icon, altra azienda di famiglia che produce materiali per l’edilizia e che pochi mesi fa è stata dichiarata fallita. Michele Giura è morto a dicembre 2020. Ai cugini l’accordo con Peppe non è andato giù. Il piano è saltato.
Nel 2021 la vedova di Vincenzo ha chiesto e ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti della Finba per quei 3 milioni di euro. Il Tribunale civile di Bari lo ha concesso senza provvisoria esecutività (è finanziamento soci, un credito postergato), ma sentendo puzza di bruciato ha trasmesso le carte in Procura. Con quel pezzo di carta in mano, la vedova di Vincenzo ha chiesto al Tribunale il fallimento della Finba. È il primo atto della guerra.
Perdere Finba significherebbe perdere tutto ciò che è stato costruito in 80 anni di vita imprenditoriale: lì dentro c’è quel che resta dell’impero. E così per salvare la società il resto della famiglia tenta dapprima la strada del concordato, quindi predispone un accordo di ristrutturazione del debito che è stato pubblicato giusto il 7 settembre. Un «182» (l’articolo della legge fallimentare) che prevede - secondo la Procura - un pagamento «carta contro carta» da parte di società inattive o in concordato, dunque non eseguibile. Nel frattempo, il 4 febbraio, Strade e Condotte (che è della Finba) ha comprato per 11 milioni di euro la Matarrese srl, proprio come previsto dal concordato del 2016. Ma 18 giorni dopo la «Strade» amministrata da Amato ha rivenduto la «srl» alla Imco amministrata da Antonio per 5 milioni di euro, operazione che - dice sempre la Procura di Bari - serve a sottrarre la «srl» alla Finba e metterla al riparo sotto l’ombrello della Imco, i cui proprietari sono 15 persone tra zii e nipoti Matarrese e Greco, e in cui gli eredi di Vincenzo sono in minoranza. Peccato che nella prima operazione «Strade» si sia accollata i 6 milioni ancora dovuti alla «spa» in concordato, soldi che i creditori della vecchia società non rivedranno mai.
Dal punto di vista giuridico è una operazione che appare spericolata. E infatti il 17 marzo al collegio sindacale della Imco arriva una denuncia di Peppe e dei suoi fratelli Salvatore, Michelino e Palmalisa. Chiedono di accertare «quali attività abbia compiuto l’amministratore unico (di Imco, cioè lo zio Antonio, ndr) in relazione all’operazione straordinaria di eventuale acquisto della Matarrese srl». È un’altra bomba atomica lanciata nel fortino di famiglia.
L’ultimo atto della guerra di famiglia è stato lunedì, quando l’assemblea della «srl» ha deciso la trasformazione in spa. Almeno formalmente è l’atto della rinascita della vecchia Salvatore Matarrese spa, di cui - come ai vecchi tempi - torna amministratore Salvatore figlio di Michele. Ma non c’è stato il tempo di festeggiare.