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Bari, Parco della Giustizia: c’è il secondo ricorso al Tar

Bari, Parco della Giustizia: c’è il secondo ricorso al Tar

 
Giovanni Longo

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Giovanni Longo

Bari, Parco della Giustizia: c’è il secondo ricorso al Tar

L’associazione «Fare Verde» accusa: «Pregiudizio ambientale»

Martedì 07 Giugno 2022, 10:18

BARI - Secondo ricorso contro il Parco della Giustizia. A presentarlo l’associazione ambientalista «Fare Verde» nel solco già tracciato dal Comitato di quartiere «Per un parco verde di quartiere alle ex casermette Capozzi e Milano» che nei mesi scorsi si è già rivolto al Tar. Presunta violazione degli standard minimi di verde previsti dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore; aumento dell’inquinamento a causa del traffico che esploderà con la realizzazione degli uffici giudiziari; problemi di viabilità; mancata adozione della Valutazione ambientale strategica (Vas) che non sarebbe superata dalla nomina del commissario; assenza di dati tecnici sul flusso di auto in un zona già congestionata, sono i principali asseriti vizi lamentati da Fare Verde nella nuova istanza pendente davanti alla seconda sezione del Tar per la Puglia. A rappresentare l’associazione ambientalista l’avvocato Luigi Campanale.

Ad un mese esatto, dunque, dall’udienza già fissata per discutere il merito dell’altro ricorso (quello dal Comitato di quartiere), spunta un secondo ricorso con il quale sostanzialmente si contesta la legittimità del futuro Parco della Giustizia. Impugnati il bando di gara del Demanio del 7 febbraio 2022, i protocolli d’intesa del 25 gennaio 2018 e 30 luglio 2019, la convenzione del 1° ottobre 2020, nonché tutti gli atti collegati alla procedura. Contro il progetto per realizzare i futuri uffici giudiziari, si adiscono le vie legali. Quasi un contrappasso. Anche Fare Verde, presieduta dall’avvocato barese Savino Ganbatesa, chiama in causa Governo, Demanio, Commissario straordinario per l’opera, il presidente della Corte d'Appello nella sua veste di presidente della Commissione permanente sul funzionamento degli uffici giudiziari, rappresentati tutti in giudizio dall’Avvocatura distrettuale dello Stato. Nel mirino la presunta «assenza di studi di fattibilità urbanistico-ambientale» sin da quando, era il lontano 16 dicembre 2014, il ministero della Giustizia optò, mettendo poi a disposizione ingenti fondi, per realizzare il Parco della Giustizia sulle aree dove sorgono le caserme dismesse per risolvere in questo modo, una volta e per tutte, il problema edilizia giudiziaria, nervo scoperto in città da oltre 20 anni.

Passando alle ragioni di merito, ad avviso dei ricorrenti poco importa che la previsione di crescita demografica del piano regolatore Quaroni fosse sovradimensionata. I baresi sono oggi 321mila, praticamente la metà rispetto ai 630mila previsti all’epoca. Un dato che non consentirebbe di rivedere al ribasso gli standard minimi di verde per abitante. Di qui l’asserito «pregiudizio ambientale». Infatti, i permessi a costruire sono stati concessi in base a quella (errata) previsione al rialzo, di qui cemento ovunque, poco verde (specie a Carrassi) e - dicono i ricorrenti - un paradosso: il costruito reale è rapportato ai 630mila abitanti «fantasma» e le aree verdi scarseggiano. Insomma, l’eliminazione di una estensione di ben 14 ettari sui quali saranno realizzati gli uffici giudiziari produce una ulteriore riduzione di verde pro-capite di quelli previsti dalle norme vigenti con la conseguenza che «la variante relativa alla localizzazione del Parco della Giustizia è assolutamente illegittima».

Tra le criticità evidenziate, l’incremento del traffico che nel concorso di progettazione non sarebbe stato tenuto in debito conto. Il nemico si chiama anidride carbonica. «Secondo i nostri calcoli - si sostiene nel ricorso - per una superficie di 14 ettari verrebbero sottratte all’ambiente urbano circa 1.010 tonnellate di CO2 all’anno». Insomma, «quanto indicato pretenziosamente come studio di fattibilità altro non è che una progettazione ingegneristica dell’opera, aprioristica e astratta, in assenza totale di qualsiasi approfondimento sulle ricadute ambientali della stessa». Criticità che preoccupano gli stessi tecnici che hanno elaborato l’analisi di fattibilità. Mobilità sostenibile, accessibilità dell’area, convivenza di ciò che oggi esiste nel quartiere con ciò che comporta lo svolgimento della futura funzione giudiziaria, sarebbero tutti elementi che richiederanno la progettazione di «dispositivi volti al controllo e alle limitazione degli accessi in ragione della sicurezza e del rispetto della privacy degli utenti». Peraltro gli senari sarebbero a dati sul traffico risalgono al lontano 2008.

Ecco perché «non si comprende perché non si sia dato corso a una verifica di assoggettabilità a Vas», dato che, alle luce delle criticità evidenziate, gli stessi tecnici che hanno redatto lo studio di fattibilità «chiedevano esplicitamente venissero preliminarmente considerate e discusse». Il ricorso, infine, è stato inviato dai ricorrenti per conoscenza anche a Comitato di quartiere, Wwf, Italia Nostra e Fai quali soggetti «controinteressati».

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