È approdato anche a Bari l’acclamato e discusso Banksy – o almeno l’ombra di Banksy: l’anonimo «terrorista dell’arte» assurto a popolarità mediatica in un percorso di ascensione dalla guerriglia urbana ai fasti capitalistici di Sotheby’s. Era fra i sogni del sindaco Decaro, al tempo svanito di Bari capitale della Cultura. Ora si para nel teatro Margherita una nuova versione delle mostre banksiane che la nota coppia critica Stefano Antonelli - Gianluca Marziani va proponendo in molteplici località italiane sin dal 2016 (anche in Puglia, nel Castello di Otranto l’estate scorsa). E non sono i soli a diffondere repliche dell’artista di Bristol che si nasconde sotto il tag Banksy (Antonelli non ha dubbi: si chiama Robin Cunningham). La mostra dichiara di «non essere autorizzata»: formula solita, richiesta dall’autore per marcare la presa di distanza dal mercato. Ma le 27 serigrafie su carta esposte, provenienti da collezionisti privati, sono ben note – assicurano i curatori - al Pest Control, l’Office online istituito da Banksy che dal 2009 vigila sulla autenticità delle opere. In pratica, si tratta della riduzione in grafica moltiplicata di icone estratte dai più noti wall drawings eseguiti dall’artista sui muri urbani nel primo decennio dei 2000. Scene con figure a tinte spray ottenute con la sovrapposizione di stencils (le «mascherine» ritagliate o traforate in carta o cartone) e basate molto sulla manipolazione di immagini mediali (anche da cover di dischi - ne sono esposte 8). Tecnica artigianale rapida e pratica, che ha contribuito a definire uno «stile Banksy», anzi un brand.
Vediamo. Situazioni paradossali ispirate dalla cronaca o dai comportamenti sociali. Messaggi contro le guerre e le violenze, contro ogni forma di potere repressivo, contro povertà ed emarginazioni, contro i conformismi del consumo e del sesso. Con scambi di sensi e di funzioni, disvelamenti di finzioni e convenzioni. Ma con mano leggera. Giostra su una tastiera che esclude toni alti di denuncia o di protesta. Svaria piuttosto dall’ironia al sarcasmo, si concede persino divertimenti e tenerezze. Chiama spesso in causa gli animali – a partire dal topolino, il suo logo primario.
Però, attenzione. «Nulla è chiaro con Banksy, nulla è netto e quanto c’è risulta spesso contraddittorio», dichiara audacemente Antonelli nel catalogo che completa la mostra con molti contributi critici: «Sembra arte, ma sembra anche marketing». Una «complessità eterogenea», commenta Marziani. Di qui la loro richiesta di non fermarsi alla «contemplazione» estetica delle immagini. Mica facile per il pubblico, indotto piuttosto a tentazioni feticistiche per icone di immediata suggestione, promosse in cornici museali. Sarebbe necessario un programma pubblico di incontri per informare e riflettere sul mondo di Banksy: che è «tanta roba» (sempre Marziani) oltre la street art.
Empatico e velenoso insieme - come la mela di Biancaneve. Ne sono consapevoli i curatori. Per questo dispongono, accanto alle grafiche, schede delle opere e fotografie di come apparvero su strada. Poi, esempi dei suoi interventi «situazionisti» sin dal 1996-98: incursioni in musei e biennali, intrusioni concettuali di falsi reperti archeologici o di finte banconote. Un monitor fa scorrere in loop una serie di short su altre azioni. E – apposta per Bari - grandi pannelli infografici sulla vita dell’artista, i suoi percorsi urbani, le sue relazioni storiche. Una complessità che comporta ambiguità. Esemplari proprio le due immagini più esaltate nella comunicazione della mostra. È molto più di una icona pacifista - della serie «mettete fiori nei vostri cannoni» - il giovane bendato che scaglia un mazzo di fiori invece di una molotov (Love is in the Air, 2003). Banksy lo disegnò – adattando la fotografia di un contestatore violento - sul muro eretto da Israele a Gerusalemme per separare i palestinesi. Una azione artistica e politica scioccante, per il tempo e per il luogo. Lì però ha fatto anche aprire un hotel per turisti speciali, proprio addosso al muro. È arredato con estri kitsch, mentre parte degli introiti vanno alla causa palestinese.
Il «Walled Off Hotel» è solo una delle sue spiazzanti iniziative «sociali». Come un negozio low cost di gadget aperto a Londra. Una parodia di Disneyland (Dismaland). Una nave di soccorso ai migranti nel Mediterraneo con scafo in rosa: dove l’altra icona della mostra, Girl with Balloon - la bambina con palloncino a forma di cuore che apparve sui muri di Londra nel 2003 – 2004 - innalza un salvagente. Come dire di una storia che ha assunto sensi diversi. Intanto, non è chiaro se il pallone-cuore vola per volontà della bambina o perché il filo si è strappato; se è messaggio di speranza o di perdita del futuro. Poi, Banksy l’ha tradotta anche in dipinto spray su tela. Messo all’asta da Sotheby’s nel 2018, viene aggiudicato per 1 milione di sterline. Mentre la tela sta per essere staccata dalla parete, scatta un meccanismo segreto per tagliarla in strisce. Però s’inceppa, la bambina sporge tagliuzzata dalla cornice ma rimane integra la parte col palloncino. L’opera sarebbe da gettare, ma l’acquirente decide di accettarla così com’è. E credo bene: nel 2021 l’ha rimessa all’asta, ottenendo ben 25,4 milioni di dollari…
Così la presunta contestazione al mercato orchestrata e fallita assume il sospetto di una simulata provocazione. Tanto più se ricordiamo che Banksy è autore anche di opere di pittura e di scultura, messe in vendita con esiti fruttuosi. Come la grande tela Devolved Parliament (2009) - il Parlamento inglese composto da scimmie: nel 2019 ha segnato, sempre da Sotheby’s, il suo record di mercato: oltre 11 milioni di euro. Forse è più chiaro perché la mostra di Bari è intitolata «Realismo capitalista». È il titolo di un noto saggio di Mark Fisher (2009 - ed. italiana 2018) di serrata critica alla Thatcher. Il sociologo inglese partiva però dalla ammissione che «è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo». È morto suicida per depressione, nel 2017. Banksy invece annuncia così la sua strategia: «Se vuoi dire qualcosa e vuoi che la gente ti ascolti, allora indossa una maschera».