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I segreti del genoma umano svelati da un team barese

 
Barbara Minafra

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Barbara Minafra

I segreti del genoma umano svelati da un team barese

I ricercatori dell’Università «Aldo Moro» guidati dal prof. Mario Ventura

Sabato 02 Aprile 2022, 10:50

Il Genoma umano non ha più «pagine strappate» ma è «un libro completo». La rivoluzione scientifica che si prospetta, dalla genetica alla farmacogenomica, è tutta da scrivere e spalanca le porte al «futuro della biologia». Tra i protagonisti della ricerca internazionale appena pubblicata su Science, tra le più prestigiose riviste scientifiche, c’è il team di ricerca dell’Università di Bari guidato dal professor Mario Ventura, docente del dipartimento di Biologia. Tarantino, 47 anni, insegna anche al dipartimento di Scienze del Genoma dell’università di Washington.

La ricerca completa il sequenziamento del Dna, avviato 20 anni fa con il Progetto Genoma Umano. «Il nostro lavoro è durato 5-6 anni ed è cominciato con l’arrivo delle nuovissime tecnologie che hanno permesso di rifare il sequenziamento. Il “vecchio” genoma umano, finora utilizzato, era pieno di buchi, era un libro con le pagine strappate. Ora non ci sono più zone incognite. È tutto scritto e si può leggere», dice.

Tra 20 anni cosa può succedere grazie a questa ricerca?

«Potremo avere molte risposte ai tanti quesiti posti dalle malattie genetiche, di cui oggi non conosciamo i geni responsabili. Si potrà realmente parlare di terapie personalizzate. La farmacogenomica permetterà di sapere come risponderò a un trattamento farmacologico sulla base del mio personale sequenziamento genomico. Se ho piena conoscenza del libro posso sapere dove andare a trovare il capitolo, la frase che mi serve, e strutturare un piano terapeutico personalizzato. La svolta secondo me sarà lì: la comprensione dei geni responsabili delle malattie genetiche, ancora sconosciuti, e il trattamento farmacologico personalizzato».

Il genoma cambia da individuo a individuo. Non solo terapie si va verso una medicina personalizzata.

«Abbiamo a disposizione il genoma completo di una linea cellulare. Ora sappiamo esattamente tutte le lettere e tutte le pagine presenti sul libro. Se prendiamo due persone, non troveremo le stesse frasi a pagina 5 ma sappiamo che dobbiamo leggere pagina 5. Capiremo le differenze di testo. Finora conoscevamo pochi geni. Presto aumenteranno».

«Qual è la cosa più bella, l’aspetto che l’ha affascinata di più in questa ricerca?

«La possibilità di confrontarsi con tante teste che si occupano di cose diverse, messe tutte sullo stesso piano. Un’esperienza davvero esaltante perché ti metti a contatto con modi di pensare differenti, d’investire nella scienza in modi diversi dal nostro. E poi il tipo di risultati. Quando ci siamo resi conto che con queste tecnologie riuscivamo con fatica, impegno e passione, a risolvere punti che erano incogniti, nel senso che nemmeno si sapeva che esistevano, abbiamo capito che il dato che stavamo producendo avrebbe fatto il futuro della biologia in generale, non solo della genetica, disciplina di cui mi occupo».

Cosa significa vedere la propria ricerca sulla copertina di Science?

«Una grande soddisfazione. Ripaga di tanto impegno, della passione che dedico al mio lavoro, all’università e alla ricerca: dalle 10 alle 14 ore al giorno. Quando si arriva a questi traguardi senti che la fatica ha dato i suoi frutti.

Dopo aver contribuito alla storia della biologia cosa vuol dire tornare a fare lezione?

«Me lo sono chiesto anch’io e ho aggiunto delle slide alla lezione di oggi per dare la notizia agli studenti. Significa dire che si può fare ricerca in Italia. Il timore che aleggia è che sia obbligatorio andare via. Sicuramente ci vogliono connessioni, impegno, ma con questo risultato dimostriamo che si può restare. Poi se in Italia si impegnasse qualche fondo in più nella ricerca sarebbe meglio: riusciremmo ad essere più convincenti.

Ma entrare in aula con questi risultati significa anche dire che la nuova generazione di ricercatori sarà di alto livello.

«Entrare adesso in aula e presentare questi dati mi riempie di soddisfazione, mi fa sentire più utile, sento che l’impegno come docente porterà dei frutti perché a qualcuno trasmetterò la voglia di scoprire, di fare ricerca, dimostrando che è qualcosa che si può fare se si vuole fare.

Anche Giorgio Parisi, che ha molto collaborato con Uniba, dopo il Nobel in Fisica è tornato tra i suoi studenti. Avere la possibilità di trasferire ai giovani conoscenze che sono ‘il futuro della biologia’ credo sia un testimone della bellezza di fare ricerca.

«Mi sento piccolissimo, no..no.. non si può fare un simile paragone. Però ci metto tutta la passione, la voglia, la testa nel mio lavoro e quando all’inizio di ogni anno tengo la prima lezione, punto l’attenzione non sulla nozione ma proprio sul valore di trasmettere le nozioni.

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