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Pescatori in rivolta in Puglia: mercati ittici chiusi

 
ANTONIO GALIZIA

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ANTONIO GALIZIA

Pescatori in rivolta in Puglia: mercati ittici chiusi

Le marinerie in subbuglio. Barche ferme e banconi vuoti da Bari a Taranto. Lo sciopero: stop di sette giorni

Martedì 08 Marzo 2022, 13:57

16:36

MOLA DI BARI - La protesta, i banconi vuoti del mercato del pesce, il grido di dolore consegnato alle trombe dei pescherecci e all’autorità marittima cui ieri mattina, dopo l’assemblea nella cooperativa Conenna al porto di Mola, i pescatori del posto si sono rivolti annunciando la restituzione, prevista per stamattina, delle licenze di pesca, con la proclamazione di uno sciopero di sette giorni. E una sola drammatica certezza: «Se non si fa qualcosa la pesca chiuderà i battenti - ammette Pasquale Signorile, giovane comandante - e addio pesce fresco sulle nostre tavole. Non è una visione drammatica ma la realtà ».

I pescatori non ce la fanno più, sono allo stremo. La ferma e determinata protesta condivisa dalle marinerie del Barese, che ieri da Mola a Monopoli, da Molfetta a Trani, Giovinazzo e Santo Spirito si sono riunite nelle aree portuali, «è l’estremo tentativo di portare la crisi del comparto - spiega Giuseppe Danese, armatore - all’attenzione delle istituzioni. Il nostro settore ogni giorno vede accavallarsi problemi, senza che si intravveda un barlume di speranza».

Il punto di non ritorno riguarda il rincaro del gasolio, schizzato a 1 euro e 30 centesimi rispetto agli 80 centesimi di 10 giorni fa e i 30 di un anno fa, cui si è aggiunta la decisione della Commissione europea di diminuire lo sforzo di pesca a 127 giornate l’anno. «Siamo arrivati davvero a un punto di non ritorno - dice Francesco Renna - perché è aumentato il carburante insieme ai derivati del petrolio, comprese reti e cassette di polistirolo per la conservazione del pesce».

Soluzioni lontane e perdita di reddito consigliano di mollare gli ormeggi. I dati diffusi dalle organizzazioni di categoria parlano della perdita del 30 per cento di forza lavoro dal 2019 a oggi nella sola Puglia (che vanta una flotta di 1.100 unità iscritte alle Capitanerie, 200 in provincia di Bari). Tra gli effetti del caro-carburanti c’è anche la interruzione delle attività nei depositi privati: «Da 4 giorni - spiega Cosimo Marasciulo del Consorzio Mare Blu, che raggruppa i pescatori del sud Barese - non ritiriamo carburante perché è crollata la domanda, in più le raffinerie chiedono il pagamento anticipato, parliamo di 30-40mila euro a carico, e hanno avviato i piani di rientro dei crediti vantati dai pescatori». «Siamo allo stremo – conclude Danese -. Sfido chiunque a mantenere una impresa di pesca attiva a queste condizioni. Ci dicono che possiamo lavorare 127 giorni l’anno pagando contributi per 360. Ci costringono al fermo biologico (dal 29 luglio all’11 settembre da Manfredonia a Monopoli), al fermo tecnico e ai 33 giorni di divieto alle uscite in mare per ridurre lo sforzo di pesca. Ci aumentano il carburante. Da 2 anni non ci pagano il ristoro del fermo. A tutto questo aggiungiamo i costi per la manutenzione e i collaudi obbligatori alle barche. Con il peggio che deve ancora venire: l’Ue ha annunciato entro il 2026 la riduzione a 90 delle giornate di lavoro per preservare il nostro mare».

Di questo si parlerà nell’incontro chiesto per domani a Roma tra la delegazione delle marinerie e il viceministro Francesco Battistoni, cui seguirà giovedì 10 l’incontro tra vice ministro e organizzazioni. L’astensione dal lavoro proseguirà fino alla mezzanotte di domenica prossima.

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