BARI - Polemiche a parte, l’attivazione dell’ospedale nel quartiere fieristico, costato 17 milioni di euro (il suo futuro post pandemia è tutto da scrivere), ha come obiettivo non solo concentrare i pazienti Covid in un’unica struttura (ci saranno Terapia intensiva, Subintensiva e l’area medica, una compresenza ideale nell’ottica della multidisciplinarietà), ma anche riportare il Policlinico a recuperare le attività ordinarie: la formazione dei futuri operatori sanitari nella sede universitaria, ma soprattutto l’assistenza e la cura dei pazienti no Covid, trascurati per far fronte all’emergenza. Bisognerà affrontare l’impatto di questa triplice esigenza mettendo a punto una organizzazione complessiva che si preannuncia complicata, se non altro sotto l’aspetto dell’organico (i medici scarseggiano, ma anche per infermieri e oss ci sono ostacoli da superare con i sindacati), in modo da far seguire i fatti alle intenzioni. Anche negli altri ospedali della città la scelta è stata fatta: la Asl ha individuato nell’ospedale San Paolo il presidio Covid, lasciando al Di Venere il resto delle incombenze, con una mole consistente di prestazioni specialistiche da smaltire e da recuperare. Da questo punto di vista è centrale anche il lavoro dei poliambulatori, pur con tutte le complicazioni causate dal Covid.
DEBOLEZZE La precedenza (anche in periodi come questi, di particolare pressione) è per le patologie da investigare urgentemente (a maggior ragione se relative a malattie oncologiche, cardiocircolatorie eccetera), ma pure per le prestazioni differibili e le programmate c’è la necessità, almeno in alcune specialità, di una accelerazione. Peraltro, in un periodo in cui non si fa altro che parlare di prevenzione, è stato proprio lo screening l’anello debole del sistema extra Covid (anche del Covid, a dire il vero), così come lo è stato appunto non aver potuto garantire una diagnosi precoce. Non è ancora possibile stimare i danni indiretti provocati dal virus, ma non è difficile ritenere che la sospensione decisa dalle autorità sanitarie, aggiunta al timore di recarsi in ambienti ritenuti a rischio, abbia inciso drammaticamente con esiti che saranno quantificabili nel prossimo futuro.
ATTESE Il sistema sanitario, già in sofferenza cronica in tempi di... pace, ha inevitabilmente peggiorato le performance a causa del Covid con un allungamento delle liste d’attesa per accedere a visite specialistiche ed esami strumentali. Il Piano nazionale per il governo delle liste di attesa (Pngla) prevede classi di priorità sia per le prestazioni di specialistica sia per le prestazioni di ricovero, ma l’adeguamento ai criteri previsti, da sempre una delle lacune più evidenti della nostra sanità pubblica, pur paventato dalla dirigenza, è andato a farsi benedire da un anno a questa parte, cioè da quando le attenzioni quasi esclusive si sono spostate sugli effetti del virus. Non meraviglia, dunque, che la richiesta urgente (entro 72 ore) per una visita oncologica, una mammografia e un'ecografia alla mammella possa essere soddisfatta, stando alle rilevazioni del quarto trimestre 2020, in tempi esorbitanti rispetto alle necessità immediate di un paziente. Le (poche) visite prenotate (36) sono state tutto sommato garantite entro il tempo massimo (nell’86% dei casi), ma non si può dire lo stesso per la mammografia bilaterale (solo 28 su 73, 38%, con un’attesa media di 52 giorni) e per l’ecografia bilaterale della mammella (43 su 106, 41%, 41 giorni).