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Bari, didattica a distanza in tilt: internet a singhiozzo e scuole in crisi

 
Antonella Fanizzi

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Antonella Fanizzi

Bari, didattica a distanza in tilt: internet a singhiozzo e scuole in crisi

Da oggi in tutta la Puglia il ritorno della Dad, ma non mancano i problemi

Martedì 03 Novembre 2020, 09:42

Nella giornata che segna a Bari, e in tutta la Puglia, il ritorno alla didattica a distanza, nelle innumerevoli chat delle mamme i messaggi come questo si moltiplicano: «Ciao a tutte, volevo informarvi che nel mio doposcuola da domani sarà possibile far venire i vostri ragazzi per la Dad in modo che voi possiate continuare a lavorare in tutta serenità, per quanto possibile visto il periodo. I posti sono limitati proprio per garantire le dovute distanze di sicurezza». Oppure: «Sono una babysitter dotata di tablet. Potrei seguire i vostri bambini durante le lezioni in videocollegamento». Soltanto ad altre donne che si prendono cura, a vario titolo, dei più piccoli non è sfuggito il dramma che in queste ore stanno vivendo le famiglie: il governatore Emiliano ha chiuso tutte le scuole (tranne gli asili nido e le materne) fino al 24 novembre (forse), creando problemi di vita in particolare alle donne.

La Dad, sperimentata a marzo durante il lockdown, ha messo in evidenza la disparità fra gli studenti più fortunati e quelli più fragili, questi ultimi con genitori precari, disoccupati, oppure con lavori a nero, accrescendo il divario sociale.
Migliaia di famiglie sono in bilico: se un bambino deve fare lezione da casa, un genitore non va a lavorare. Oppure lo porta in una ludoteca o in centro per il doposcuola. O paga una babysitter. Sacrifici, anche economici, pur di non lasciare i piccoli a casa da soli. Un disagio e una disorganizzazione comprensibili nella primavera scorsa ma non ora, a otto mesi dall’esplosione del Covid.

Eppure un ragionamento sui rischi della povertà educativa sarebbe stato sufficiente a correggere il tiro: se la pandemia obbliga i cittadini a chiudersi in casa, le istituzioni hanno il dovere almeno di garantire il diritto allo studio. Per tutti.
Così non è. Il bilancio della prima giornata, con le maestre e i professori nelle aule deserte e con gli studenti dietro uno schermo nelle proprie abitazioni, è peggiore del previsto. Connessioni saltate, interi istituti senza rete (dunque le spiegazioni e le interrogazioni non ci sono state), bambini collegati dal telefonino della nonna.

Ieri la Dad non ha funzionato. Non filerà tutto liscio neanche oggi e nei giorni a venire. Colpa delle scuole? Neanche a pensarlo. Presidi, maestre e professori, insieme agli studenti grandi e piccoli e alle famiglie, sono piuttosto le vittime di un sistema che si rifiuta di fare i conti con la realtà. Il governo nazionale, le Regioni e i Comuni hanno il dovere di mettere il personale scolastico e gli alunni nelle condizioni ai primi di educare e insegnare e ai secondi di imparare e crescere. La curva dei contagi nuovamente in salita non è una sorpresa. Ma le istituzioni non sono neppure riuscite a costruire un cordone di sicurezza intorno alla scuola. Trasporti, tracciamento dei positivi, tamponi, medici al servizio dei potenziali ammalati: troppe le inefficienze. Emanare ordinanze con i «forse» (il senso è che le elementari, secondo l’assessore regionale alla Sanità Lopalco, potrebbero tornare in presenza), e dando alle scuole facoltà di scelta nella composizione delle classi, determina l’anarchia. Si parte da quello che per Emiliano sarebbe un chiarimento: nelle classi con alunni che hanno bisogni educativi speciali (Bes), i dirigenti scolastici possono valutare l’organizzazione di gruppi in presenza.

Il numero degli studenti non deve superare il 25% della composizione originaria di ogni singola classe. I Bes sono gli alunni diversamente abili e tutti coloro che manifestano un disagio di qualsiasi natura: gli stranieri non perfettamente a loro agio e con problemi di inserimento nella comunità educativa, i ragazzi a rischio dispersione, i figli di famiglie in difficoltà economiche e culturali, chi vive una condizione di povertà educativa, chi ha un deficit del linguaggio. Gli studenti Bes sono presenti nella quasi totalità delle classi. Cosa è successo? Lo racconta l’assessora alle Politiche educative, Paola Romano, che ieri ha dialogato con i dirigenti: «Qualche capo di istituto vorrebbe aumentare la presenza in classe dal 25 al 50%, qualcun altro opta per la Dad per tutti, altri ancora vorrebbero riportare a scuola intere classi però a turno. La verità è che le infrastrutture tecnologiche sono carenti e troppi studenti, con fratelli e sorelle, non dispongono di un computer o di un tablet ciascuno».
Siamo in emergenza, è vero. Non soltanto sanitaria. Anche culturale ed educativa.

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