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I dati Istat
G. Flavio Campanella
22 Luglio 2020
BARI - Le nascite calano e i decessi aumentano (la Covid non c’entra perché i dati Istat si riferiscono al 2019). In più, il saldo migratorio è continuamente negativo, visto che sono sempre numerosi i baresi, soprattutto i giovani, che si spostano dalla provincia per lavoro e per studio andando al Nord e all’estero. La riduzione della popolazione nella provincia di Bari dunque prosegue, confermando l’andamento degli ultimi anni, con una particolarità: la percentuale su base annua (rispetto al 2018) è identica nel Barese e nel capoluogo (-0,4%), ma con una sostanziale differenza, dal momento che nel primo caso la tendenza a lasciare il proprio territorio eguaglia numericamente lo sbilancio naturale, mentre a Bari città a incidere è quasi esclusivamente il saldo tra i nati e i morti.
I DATI La diminuzione dei residenti si registra in tutta Puglia, dove la popolazione è scesa dai 4.031.023 del 2018 ai 4.008.296 residenti di fine 2019, con una differenza di 22.727 (-0,6%), di poco superiore percentualmente a quanto accaduto in provincia di Bari, dove da 1.254.202 si è scesi in 12 mesi a 1.249.246 residenti (639.874 femmine e 609.372 maschi), con un decremento pari all’intera popolazione di Cellamare, cioè di 4.956 individui (2.282 femmine e 2.674 maschi), dovuto equamente al saldo negativo (-2.555) tra nascite (8.919) e decessi (11.474) e al saldo migratorio (via in 2.405). In particolare, il confronto mensile tra nati e morti evidenzia un andamento negativo costante, ma anche una curva che sottolinea la tendenza a un azzeramento nei mesi primaverili ed estivi: a gennaio - 429, a febbraio - 431, a marzo, -422, ad aprile -265, a maggio -218, a giugno -187, a luglio -82, ad agosto - 71, solo a settembre + 2, a ottobre -73, a novembre -124 a dicembre -251. Alle nascite, sostanzialmente stabili (743 al mese in media), fa da contraltare un numero di decessi (media: 966) più alto nei mesi più freddi (probabilmente dovuto all’incidenza delle malattie stagionali). Nella città di Bari, invece, pur mantenendosi inalterata in percentuale la diminuzione dei residenti (da 323.615 a 322.316: -0,4% come in provincia), il saldo negativo, pari a 1.299, è determinato in gran parte da quello naturale (-1.251) rispetto a quello migratorio (-48). In sostanza, nel capoluogo si nasce meno che in provincia, ma è dalla provincia che maggiormente la gente se ne va verso altre destinazioni. Il numero di iscritti e di cancellati dalla città è invece meno sbilanciato (4.873 vanno in altri Comuni italiani e 4.527 arrivano), ma c’è uno scarto del doppio tra chi giunge dall’estero (1.172) e chi parte (654). Va però precisato che gli elementi a disposizione non contemplano la nazionalità di chi si sposta. Teoricamente, l’esodo di cittadini nati a Bari verso l’Europa e il mondo potrebbe dunque essere doppiato dall’ingresso, se non di connazionali di ritorno, di extracomunitari. Peraltro, sono consistenti le cifre delle persone iscritte (719) e cancellate (939) all’anagrafe di cui non si conosce la provenienza (migranti extra Ue, ma non solo). Curiosità: si lascia Bari (almeno considerando il 2019) di più a marzo e a settembre e si torna tra aprile-maggio e novembre.
LA MIGRAZIONE Riguardo allo spopolamento, l’Istat conferma quanto già evidenziato dal rapporto Svimez del 2019 sull'economia e la società del Mezzogiorno, impietoso riguardo alla fuga dei cervelli, soprattutto se si considera il depauperamento di quella che dovrebbe essere la miniera dell'Italia: i giovani. Dalla Puglia negli ultimi dieci anni (2008-2017) i giovani residenti (tra i 15 e i 34 anni) sono diminuiti notevolmente, passando da 1 milione e 65mila a poco più di 900mila, con una differenza dunque di oltre 150mila persone (-14 per cento), la maggior parte delle quali (135mila circa) si è spostata in altri territori della Penisola, ma (una buona fetta) anche all'estero (14.800, il 6 per cento del conto nazionale). La tendenza è confermata anche in provincia di Bari, per la quale è sufficiente dare uno sguardo al dato sulla migrazione registrato nel decennio di riferimento. Al 1° gennaio 2018 nell'area della Città metropolitana, su una popolazione di 1.251.994 persone, i residenti under 35 (dai 15 ai 34 anni) erano 282.152, il 13,8 per cento in meno (-45.338, quasi quanto l'intera Monopoli, o Corato) rispetto a due lustri prima (327.490). Anche il capoluogo rispetta la media regionale (il dato è leggermente peggiore: -14,7%, e cioè da 78.445 a 66.878 giovani), ma, considerando gli altri Comuni della provincia, balza subito all'attenzione la percentuale di decremento riguardante Alberobello, proprio uno dei centri col maggior flusso di presenze turistiche negli ultimi anni (-22 per cento, da 2.785 a 2.171 con una perdita di 614 giovani) e più in generale il calo più rilevante delle città di mare (Molfetta -16,2%, Monopoli -17,5%, Giovinazzo -18,8%, fino a Mola con -21, a parte Polignano che resiste col -13,6%).
Cinquemila residenti persi in provincia di Bari nel 2019, di cui 1300 nel capoluogo. Lo spopolamento è continuo e, a quanto pare, inarrestabile, vista la tendenza ad avere meno figli e a partire dal territorio per raggiungere il Nord Italia oppure l’estero. La recessione demografica è un fenomeno che riguarda l’Europa intera, ma che è prevalente in Paesi come l’Italia, dove la libera circolazione in un mondo ormai globalizzato è però condizionata da limiti strutturali, soprattutto al Sud. L’esodo di corregionali, per la maggior parte giovani, è rilevante anche in Puglia. Il Barese non fa eccezione, come ampiamente documentato nella prima parte dell’approfondimento pubblicata nell’edizione di sabato scorso. A fornire un quadro sulle principali cause e conseguenze del fenomeno in atto è Anna Paterno, ordinario di Demografia, oltre che coordinatrice dei corsi studio, al dipartimento di Scienze politiche dell'Università di Bari. Delegata del rettore per i percorsi formativi, è anche referente locale del Progetto di ricerca di rilevante interesse nazionale (Prin) «The Great Demographic Recession», un titolo che non ha bisogno di traduzioni. «Appare utile - afferma la professoressa Paterno - fornire alcune indicazioni sulle principali determinanti e conseguenze che sono collegate alle tendenze in atto. La variazione della consistenza numerica di una popolazione è il risultato di due fattori fondamentali: la dinamica naturale e quella migratoria. L’effetto della componente naturale, che è a sua volta il prodotto della natalità e della mortalità, diminuisce al ridursi della dimensione dell’unità territoriale osservata: ad esempio, in un comune è generalmente meno rilevante rispetto a quella migratoria, mentre in una nazione lo è in misura maggiore. Ciò avviene perché, nel secondo caso, gli spostamenti a breve raggio (interregionali, interprovinciali e intercomunali) sono considerati interni a tale unità e non modificano la numerosità dei suoi abitanti».
DUE CAUSE: INVECCHIAMENTO ed esodo Nel caso della Puglia e della provincia di Bari, dove, data la dimensione demografica, le due componenti si equivalgono, i fattori che agiscono sono da un lato il progressivo invecchiamento della popolazione e dall’altro gli spostamenti di individui prevalentemente nelle prime fasce di età adulte, dovuti soprattutto a motivi di lavoro e di studio. «Con riferimento all’invecchiamento - spiega Paterno - l’incremento della speranza di vita, che non sempre coincide con un aumento degli anni trascorsi in buona salute, ha progressivamente prodotto un innalzamento del numero di anziani e di “grandi vecchi”. Questa evoluzione ha anche comportato un rialzo del numero dei decessi, dovuto alla presenza di un più ampio contingente di persone “esposte al rischio” di subire tale evento. D’altro canto, il nostro territorio si inserisce in un contesto nazionale che, pur continuando a caratterizzarsi per una fecondità talmente bassa da essere stata definita come “lowest low” a livello globale, ha subìto durante gli ultimi decenni cambiamenti a livello interno. Infatti la propensione a dare alla luce un figlio, che prima era minore nelle regioni del Nord, ora raggiunge livelli ulteriormente più bassi nel Mezzogiorno.
Ciò è dovuto, secondo molte analisi, da un lato alla difficile situazione economica conseguente alla crisi iniziata nel 2007 e alle incertezze sul futuro che preoccupano le coppie di “aspiranti” genitori, e, dall’altro, alla difficoltà, soprattutto per le madri, di conciliare l’attività lavorativa con i compiti di cura dei bambini e degli altri componenti del nucleo familiare. In questa situazione si innesta un ulteriore aspetto strutturale: il progressivo decremento delle “potenziali madri”, che oggi sono quelle nate tra il 1970 e l’inizio del nuovo millennio quando, terminato un momentaneo “baby boom”, le culle hanno ricominciato a svuotarsi. Il progressivo cambiamento delle proporzioni tra le diverse fasce di età della popolazione sta modificando e continuerà a modificare i rapporti intergenerazionali, visto che la riduzione della quota del contingente attivo sul piano riproduttivo e lavorativo e il contemporaneo incremento delle classi senili sono destinati a incidere, se non si pongono in essere adeguati correttivi, sulla sostenibilità delle strutture di welfare e del sistema pensionistico. Tra tali azioni possono essere individuate sia le misure volte a produrre un rialzo della fecondità (strutture per l’infanzia, sostegni finanziari ai nuclei con bambini, misure che favoriscano la conciliazione delle responsabilità familiari con quelle professionali eccetera) sia quelle necessarie a garantire agli anziani una qualità di vita soddisfacente (assistenza medico-sanitaria, sostegni alle famiglie con componenti in età senile)».
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