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Bari, il morbo della discordia: «È subdolo, non sparirà»

 
G. Flavio Campanella

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G. Flavio Campanella

Bari, il morbo della discordia: «È subdolo, non sparirà»

Chironna: «Potrebbe anche essere un patogeno stagionale»

Sabato 06 Giugno 2020, 11:19

BARI - Maria Chironna, professoressa di Igiene generale e applicata presso il Dipartimento di Scienze biomediche e Oncologia umana, è la responsabile del laboratorio di Epidemiologia molecolare e Sanità pubblica dell'Unità operativa complessa di Igiene del Policlinico di Bari.

Nei giorni scorsi, sulla propria pagina Facebook ha pubblicato un paio di post da cui partire per comprendere qual è lo stato dell'arte riguardo alla diffusione del virus e alle conseguenze a breve e a lungo termine, visto che gli esperti sono pressoché concordi nel ritenere che una nuova ondata sia probabile, presumibilmente in autunno.

Da osservatrice diretta (la squadra che dirige effettua ogni giorno decine e decine di tamponi orofaringei; dall'inizio dell'emergenza ne sono stati effettuati più di 127mila in Puglia) le sono andate di traverso le dichiarazioni del professor Alberto Zangrillo, direttore della Terapia intensiva dell'ospedale San Raffaele di Milano, che ha trascurato le osservazioni e le cautele di epidemiologi e virologi sottolineando che il virus «dal punto di vista clinico non esiste più», parole forse dettate anche da un pizzico di risentimento: nel periodo di massima emergenza, mentre chi era in prima linea si accorgeva della presenza di una malattia sistemica con complicazioni non solo polmonari, ma anche cardiologiche (con microembolie diffuse, e compromissione anche di altri organi, che causavano la morte dei pazienti), alcuni colleghi, mediaticamente più esposti a livello nazionale, quasi ignoravano il lavoro dei clinici senza mai (questa l'accusa, soprattutto degli intensivisti) «essere stati in una corsia di ospedale».

Se la circolazione del patogeno è un dato ancora attuale (almeno secondo gli esperti), è però altrettanto evidente la flessione del numero dei contagi e, di conseguenza, anche il decremento netto dei trattamenti ospedalieri, soprattutto nelle Rianimazioni (a Bari si contano ormai sulle dita di una mano), fermo restando che decine di migliaia di morti sono un'eredità troppo tragica e recente per far finta che nulla sia accaduto. «Dopo 34mila morti (520 in Puglia e più di 130 in provincia di Bari - n.d.r.), oltre 234mila casi (4.500 in regione, 1.500 nel Barese - n.d.r) e la chiusura come unica strada per fermare la devastazione della Covid-19, con conseguenti danni sociali ed economici irreparabili... Voilà, ecco che “il virus dal punto di vista clinico non esiste più”. E voglio vedere! Non era proprio per questo che si è lavorato duramente tutto il giorno in questi mesi?» ha scritto sulla bacheca Maria Chironna.

Le prescrizioni nel periodo del lockdown hanno ragionevolmente impedito al Sars-CoV-2 di diffondersi. Da un mese le progressive aperture hanno riportato per strada, sui mezzi pubblici, negli uffici e poi pian piano anche nei negozi, nei musei, nelle palestre, nei parrucchieri, e fra un po' anche sulle spiagge, un numero sempre più elevato di persone. La discussione si può esaurire sostenendo che il distanziamento, la protezione individuale e l'igiene personale siano il motivo di una regressione dell'epidemia?
«Non solo quelle misure. Anche il lavoro incessante dei clinici, degli operatori della sanità pubblica, che hanno effettuato monitoraggi sanitari su migliaia di persone attraverso attività di contact tracing, e le attività di testing, non solo dei sintomatici, come avveniva all’inizio, ma pure degli asintomatici venuti a contatto con casi accertati, hanno contribuito in modo fondamentale al contenimento dell’epidemia con il risultato di pochi ricoveri ora in Rianimazione e pochissimi nuovi contagiati. E va sottolineato anche il comportamento virtuoso dei cittadini nella fase emergenziale».

Ci sono studi relativi alla carica infettiva del virus? C'è una soglia che può ritenersi a prova di contagio?
«Se il riferimento è alla dose infettante, a quante particelle virali sono sufficienti a causare infezione, allo stato attuale questo è un dato ancora non noto. Mentre per alcuni virus la conosciamo (qualche decina di particelle virali per l’influenza, migliaia per altri virus), di Sars-CoV-2 sappiamo solo che è molto contagioso. Se ciò sia dovuto a una bassa dose sufficiente a infettare o al fatto che le persone infette rilascino moltissimo virus nell’ambiente ancora non lo sappiamo. Si ipotizza che la trasmissione avvenga più efficacemente quando la carica virale, misurata mediante tecniche molecolari su campioni respiratori, è più elevata, cosa osservata ad esempio nei pazienti con quadri più severi».

Ammessa l'attendibilità, perlomeno ai fini epidemiologici, dei test sierologici e considerando che la stima di almeno un 30% di già infettati (la stragrande maggioranza dei quali asintomatici e paucisintomatici spesso non testati) sembra essere suffragata dalle indagini in corso, è supponibile che l'indice di trasmissibilità (il famoso Rt), anche in considerazione del distanziamento sociale e forse di una minore carica virale, possa ormai rimanere sostanzialmente invariato e inferiore a 1 (un singolo malato che infetta un’altra persona)?
«Aspetterei il consolidarsi dei dati degli studi sieroepidemiologici per trarre conclusioni. Potrebbe essere che nelle aree più colpite dell’Italia, come la Lombardia, la prevalenza dei contagiati possa essere a cifra doppia, ma nelle regioni meno colpite, come la nostra, ritengo sia significativamente più bassa. Certo, l’Rt, che è una misura della contagiosità dopo l’applicazione delle misure di contenimento, dipende anche dalla quota di già contagiati e dalla durata dell’immunità, che al momento non conosciamo. Perciò, in assenza di presidi profilattici e terapeutici, per mantenere questo valore al di sotto di 1, bisognerà continuare a seguire rigorosamente tutte le raccomandazioni delle autorità sanitarie. Altrimenti, l’epidemia potrebbe ripartire. Sulla minore carica virale, sarei più prudente. Tutti ci auguriamo possa essere così, ma servono evidenze scientifiche».

Il Sars-CoV-2 è un virus che non conosciamo ancora bene. Lei stessa in un altro post su Facebook ha scritto, a proposito di ripositivizzazioni, riattivazioni, recidive e reinfezioni: «Pazienti guariti da Covid19 con due tamponi negativi che diventano nuovamente positivi. Possibile? Sì. In qualche caso si tratta di false positività (è sempre bene riconfermare risultati), ma in molti altri casi si tratta di reali positività. Non sono errori di laboratorio. Le cose sono più complesse di quanto appaiano. E l’approccio per la gestione in termini di sanità pubblica di queste situazioni può essere complicato. Ancora una volta serve prudenza». Che significa?
«Che man mano che studiamo i pazienti con infezione da nuovo Coronavirus aggiungiamo nuovi tasselli alla conoscenza della malattia e del comportamento del virus. Ci sono pazienti che rimangono positivi al tampone (presentano pezzi di genoma virale nelle secrezioni respiratorie) per molto tempo dopo la guarigione clinica, altri che si negativizzano, ma poi ritornano positivi nonostante stiano benissimo. Questo avviene anche perché non ci sono comportamenti uniformi nell’approccio al monitoraggio dei positivi. Ma non vuol dire che questi soggetti siano contagiosi. Anzi, sembrerebbe di no, o, almeno, non vi sono segnalazioni di contagiati da contatto con questi soggetti. Però per prudenza vengono tenuti per un ulteriore periodo in isolamento domiciliare fiduciario. Le recidive sono state segnalate (persone apparentemente guarite che si riammalano) in concomitanza con la ripositivizzazione del tampone e poi vi sono persone che possono manifestare delle complicanze a distanza di qualche settimana, sempre legate ad una ripositivizzazione del tampone. Insomma, un virus “subdolo” che riserva sorprese. Sul fatto che persone che hanno avuto la malattia o l’infezione si possano “reinfettare”, invece, ci sono attualmente molti dubbi».

Ha fatto discutere la richiesta da parte di alcune Regioni del passaporto d'immunità. Al di là della incostituzionalità o meno, ha senso parlarne?
«Su questo, credo, concordino tutti gli esperti. Non vi sono “patentini di immunità”. E le Regioni che fanno queste richieste lo fanno senza basi scientifiche. Primo perché sappiamo che la gran parte della popolazione è suscettibile al virus, altro che immune! Secondo, perché questo “passaporto” ogni quanto dovrebbe essere rinnovato? Ogni settimana? E facendo quali test? Poi, chi anche avesse anticorpi, non è affatto detto che sia protetto».

Domanda da 10 milioni di euro: arriverà la seconda ondata?
«Già, domanda non facile. Gli scenari potrebbero essere diversi. Potrebbe arrivare una seconda ondata in autunno-inverno, quanto impattante non si sa. Bisogna essere preparati e far scattare le misure di prevenzione che già conosciamo. Oltre che, come si sta facendo, individuare e potenziare ospedali Covid-19 con ampliamento dei posti letto in Rianimazione. Altra possibilità è che il virus torni a circolare con minore intensità insieme ad altri virus respiratori stagionali come quelli influenzali. Infine, potrebbe anche non arrivare nessuna seconda ondata. Ma non ci scommetterei molto».

Si attende il vaccino, addirittura entro la fine dell'anno. Ci sono evidenze di casi di polmoniti senza spiegazioni già nel 2018 e poi nella stagione invernale appena conclusa prima che esplodesse l'emergenza. Tendenzialmente nelle banche del sangue potrebbe esserci la traccia (sempre che la si voglia cercare...) di una eventuale circolazione del virus già da un paio di anni. A parte queste considerazioni, quante probabilità ci sono che il Sars-CoV-2 sia un virus stagionale? E quante che scompaia per un periodo piuttosto lungo (per sempre?)?
«Confidiamo che, sul modello di altri virus respiratori e di altri Coronavirus umani, l’infezione da Sars-CoV-2 possa essere caratterizzata anch’essa da una stagionalità con scarsa circolazione del virus nel periodo estivo. Vedremo. Che scompaia nessuna. Dovremo imparare a conviverci sperando che, come fanno molti virus, mutando e adattandosi meglio all’ospite, possa tendere a diventare meno patogeno».

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