BARI - Con la richiesta di costituzione di una ventina di azionisti come parti civili è cominciato dinanzi al Tribunale di Bari il processo nei confronti di Marco e Gianluca Jacobini, padre e figlio, rispettivamente ex presidente ed ex condirettore della Banca popolare di Bari. Agli imputati, agli arresti domiciliari dallo scorso 31 gennaio, sono contestati a vario titolo i reati falso in bilancio, falso in prospetto e ostacolo alla vigilanza. Il procedimento riguarda la presunta malagestione dell’istituto di credito barese, commissariato da Bankitalia il 13 dicembre 2019.
Nella prima udienza del processo, che su istanza della difesa è stato preliminarmente rinviato al 16 luglio, anche la stessa banca ha chiesto di costituirsi parte civile. Alcuni azionisti ne hanno invece chiesto la citazione come responsabile civile.
«Si è trattato di una udienza ponte, nella quale non si è entrati minimamente nelle questioni tecnico-giuridiche» ha dichiarato a margine l’avvocato Francesco Paolo Sisto, co-difensore di Marco Jacobini con il collega Giorgio Antoci, spiegando che «si dovrà anche verificare la possibilità logistica di tenere l’udienza in questo palazzo o nell’aula di Bitonto. Lo vedremo nella prossima udienza in base al numero delle parti e delle persone presenti» affinché, per le misure Covid, «il processo si possa celebrare in condizioni di sicurezza per la salute e non soltanto giuridica».
Gianluca Jacobini è difeso dagli avvocati Guido Carlo Alleva e Giorgio Perrone. La posizione dei due imputati è stata stralciata, con richiesta di giudizio immediato, dall’inchiesta principale che coinvolge complessivamente altre sette persone, ex amministratori e dirigenti della banca, tuttora in corso. Gli accertamenti, delegati alla Guardia di Finanza, sono coordinati dal procuratore aggiunto Roberto Rossi e dai sostituti Federico Perrone Capano e Savina Toscani.
«Alla banca Popolare di Bari c'è una gestione del personale letteralmente indecente. Ho personalmente riscontrato una situazione scandalosa da ricondurre alla responsabilità di un paio di dirigenti senza attributi né capacità, che si fanno comandare da piccoli personaggi legati alla politica, come avveniva alla Cassa di risparmio di Chieti, dove l’autista del direttore generale era il vero padrone della banca, come testimoniato anche da articoli e libri di autorevoli giornalisti. A Chieti l’autista del direttore generale imponeva trasferimenti e promozioni, incidendo sulle scelte strategiche della banca come hanno anche evidenziato le ispezioni della Banca d’Italia. Alla Popolare di Bari, alle spalle dei commissari, che stanno cercando di salvare il salvabile, c'è chi si muove nell’ombra per ricreare quelle condizioni clientelari e quel sistema di rapporti perniciosi del quale hanno fatto le spese, con danni non indifferenti, lavoratrici e lavoratori in possesso di requisiti normativi, come quelli legati alla «legge 104», o in precarie situazioni familiari o la stragrande maggioranza del personale che opera quotidianamente in assoluta lealtà e buona fede. A questo punto, sarei davvero lieto se, durante il processo per i recenti scandali, si facesse realmente luce su ciò che è accaduto in tutti questi anni e su quanti hanno approfittato del sistema Popolare di Bari, dentro e fuori la banca, ricevendo ogni tipo di privilegio. Le organizzazioni sindacali stanno negoziando un piano industriale che quotidianamente viene però destabilizzato da voci e da pettegolezzi con il solo obiettivo di far saltare il tavolo e porre in liquidazione la banca, distruggendo così migliaia di posti di lavoro». Lo dichiara il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, in una nota.