BARI - Riaprire o rimanere chiusi. Resistere o gettare la spugna. Il dilemma occupa i pensieri della gran parte dei ristoratori, che brancolano nel buio mentre è alle porte il 18 maggio, fatidico giorno in cui, se non ci saranno controindicazioni, potranno alzare le saracinesche dei loro locali, abbassate da oltre due mesi.
«Ma a che prezzo?» è l’interrogativo di Daniele Caldarulo, noto chef titolare in piazza Mercantile del ristorante «Black and White». «La voglia di tornare al lavoro è grande - premette - ma se le condizioni per farlo sono quelle che si sentono in giro non ne vale la pena». E lui ha preso una posizione netta, dando vita in pochi giorni a una protesta che si è allargata a macchia d’olio. Se il gioco non vale la candela, «io non apro» è diventato lo slogan, assieme all’hashtag circolato subito sui social: #nonstandandotuttobene.
Daniele Caldarulo ha anche ideato una «vetrina» che richiama gli sguardi di tutti coloro che da quattro giorni passano da piazza Mercantile. Alle vetrate del suo ristorante sono appese le divise di chef, camerieri, sommelier lasciate da colleghi di Bari (titolari di locali cittadini molto noti) e dell’intera provincia. Una sorta di cimitero del lavoro che fu, sull’esempio dell’analoga e spettacolare iniziativa andata in scena nella piazza principale di Bruxelles, dove mille giacchette bianche sono state adagiate sul pavé, a simboleggiare il grido di dolore dei cuochi di tutta Europa.
«Finora è stato un “armatevi e partite” - spiega Caldarulo - non c’è alcuna indicazione precisa sulle modalità per riaprire. E il problema principale non è riaprire ma riempire i locali. Si respira un clima di paura, giustificato dall’epidemia, che verrebbe amplificato dalle normative sul distanziamento interpersonale. Come possiamo reggere se le condizioni saranno così penalizzanti? Io preferisco restare chiuso e come me tanti altri».
I problemi sono ormai noti, essenzialmente legati a spazi che non permetterebbero di mantenere le distanze di sicurezza tra gli avventori se non al costo di decimare i posti. Caldarulo esemplifica: «Tra interno ed esterno io ho a disposizione una superficie di circa 80 metri quadrati, per una settantina di posti a sedere. Se corrisponde al vero che l’indicazione sarà quella di mettere a disposizione 4 metri quadrati a persona, i coperti diventerebbero sì e no 25. Il rapporto costi-ricavi non mi permetterebbe di reggere».
Lo chef solo per l’ affitto del locale spende 3500 euro al mese. Poi ci sono i costi per le utenze, per le tasse varie, per le materie prime e per il personale. «Ecco, sono preoccupato soprattutto per i miei otto collaboratori, che hanno percepito solo ora i soldi della prima tranche degli ammortizzatori sociali».
Lamenta che al tavolo degli esperti incaricati di stabilire le regole per la ripartenza non siedano, o non vengano ascoltati, i rappresentanti del settore dell’Horeca. Giacche e magliette da esporre aumentano di giorno in giorno. «Non ho più spazio per appenderle all’esterno, ho iniziato a farlo all’interno del locale».
Se non arriveranno direttive chiare e realizzabili senza il rischio di fallire, manterrà fede alla minaccia di non riaprire. E, in questo caso, esige che sia lo Stato a garantire la tutela dell’occupazione. «Se non mi permetteranno di lavorare con serenità, non alzerò la serranda. Ma poi sarà inevitabile un aiuto: dovranno sospendere la tassazione e dovranno assicurare gli ammortizzatori sociali al mio staff».
Caldarulo ha apprezzato il progetto del sindaco Antonio Decaro di aumentare del 50 per cento la superficie esterna a disposizione dei locali, senza gravarla del tributo sull’occupazione del suolo pubblico. «Ma attenzione - osserva l’imprenditore-chef - non tutti hanno la possibilità di allargare gli spazi del 50 per cento. Non lo si può fare in molte stradine, né dove ci sono passi carrabili da rispettare. La pedonalizzazione non è risolutiva, da sola non può bastare».
Daniele, guardingo, attende che vengano ufficializzate regole precise. E spera che vadano nella direzione auspicata da lui e dall’intero settore. «Ho tanta voglia di rivedere le persone, i miei clienti, ristabilire quel clima di convivialità. Perché andare al ristorante era un piacere, deve continuare a esserlo».