BARI - Arianna e Ilaria Morelli sono un ingegnere meccanico e una dottoressa in scienze forestali. Dodici anni fa, tuttavia, le sorelle hanno deciso di investire talenti ed energie nell'estetica innovativa con tecnologie all'avanguardia. Da sempre fanno usare alle loro collaboratrici guanti e mascherine. La sanificazione degli strumenti, nel centro benessere «Il velo di Maya» del quartiere Carrassi, è la regola ben prima dello scoppio del coronavirus. «Abbiamo già acquistato altre mascherine, le visiere per le operatrici e posizionato all'ingresso il gel per le mani proprio con l’obiettivo di elevare ulteriormente gli standard di sicurezza per noi e per le nostre ospiti», spiega Arianna che si occupa della gestione del centro. Per chi, quindi, è abituato a lavorare nel rispetto della normativa di settore, l'ulteriore posticipo della riapertura al 1° giugno, imposto dal governo Conte, suona come una beffa.
È preoccupata?
«Sono molto preoccupata non soltanto per i debiti che continuano a crescere, ma soprattutto per la salute delle clienti. Penso, per esempio, alle titolari dei negozi, alle commesse, alle addette alla vendita, alle manager e a tutte le donne che torneranno alla propria occupazione già dal 4 maggio. Avranno la necessità di presentarsi in ordine, di curare il proprio aspetto, di sentirsi bene per affrontare quella che per tutti sarà una nuova sfida».
Se parrucchieri e saloni di bellezza sono chiusi, cosa si potrà fare?
«Il problema è proprio questo. Temo che più d'una si farà servire in casa, rischiando però il contagio e rimettendo pericolosamente il virus in circolazione».
Il lavoro nero potrebbe dunque mettere in ginocchio le attività che rispettano la legge?
«Non nel nostro caso. La ragazza che fa la ceretta a domicilio non è una nostra concorrente. La nostra professionalità è certificata: apparecchiature all'avanguardia; continui corsi di aggiornamento professionale, a nostre spese, sia in Italia sia all'estero; cortesia; igiene massima; accoglienza e assistenza globale alle clienti. Sono questi i nostri punti di forza. Non significa comunque che si possa chiudere un occhio nei confronti di chi non paga le tasse».
Cosa chiede alle istituzioni?
«Mi auguro che le forze dell'ordine, la Asl e gli enti che hanno il compito di fare i controlli sanzionino il sommerso. È una questione di equità, di giustizia sociale e, ripeto, di salute. Quando finalmente tutti i centri autorizzati potranno tornare in attività, non sapremo se qualche nostra cliente avrà fatto trattamenti da parrucchieri e estetisti abusivi. Anche noi rischiamo il contagio. Il nostro è un mestiere nel quale non ci possono essere distanze di sicurezza. Per questo è fondamentale affidarsi a personale altamente qualificato».
Sul web è già partita l'ennesima raccolta firme per chiedere di rivedere il decreto in modo da anticipare la ripresa.
«In tanti potrebbero non farcela. Mutui, affitti da pagare, contributi per i dipendenti, spese di gestione, impegni da onorare con i fornitori. E poi i costi di sanificazione. Nel mio team siamo in sei. Le nostre collaboratrici, in cassa integrazione, non hanno visto un centesimo degli aiuti promessi dallo Stato».
A proposito di agevolazioni, funziona il rapporto con le banche?
«Abbiamo la possibilità di chiedere prestiti fino a un massimo di 25mila euro oppure per il 25% del fatturato registrato nel 2018, perché le dichiarazioni dei redditi riferite al 2019 non sono ancora pronte. L'assurdo è che lo Stato fa da garante solo sulla carta. Le rate le paga l'imprenditore. Siamo in gabbia. È lo Stato a costringerci a indebitarci».
In attesa di tempi migliori, cosa si augura?
«Spero che le regole valgano per tutti. I sacrifici li devono fare tutti: regolari e, in questa fase di pandemia così delicata, soprattutto gli abusivi. I controlli devono essere capillari e le multe esemplari. Scovare chi lavora a nero è semplice: la pubblicità viaggia senza pudore sul web. Prima della concorrenza sleale sempre da condannare e punire, in gioco c'è la salute».