BARI - Lunga vita alle ossa di san Nicola. Lo hanno confermato le analisi specifiche eseguite, nel maggio 2017, per la prima volta dopo la loro traslazione.
L’esame si rendeva necessario per programmare e preparare e tutelare il viaggio a Mosca della reliquia rappresentata da un frammento di costa di 13 cm. L’obiettivo era valutare consistenza, fragilità e resistenza di ossa conservate, per oltre nove secoli, in un ambiente umido, sotto il livello del mare, ed immerse nella Sacra Manna, costantemente presente sul fondo della Tomba di San Nicola.
I prof. Francesco Introna e Onofrio Caputi Iambrenghi curarono il prelievo della reliquia dal sacello del Santo situato nella cripta della Basilica. Il giorno dell’analisi, la reliquia, opportunamente riposta in un’urna lignea protettiva, fu portata nell’Istituto di Medicina Nucleare del Policlinico Universitario di Bari, in gran segreto.
Il piano operativo fu preceduto da uno studio meticoloso su precedenti storici e prospettive future.
«Esperienze specifiche di antropologia forense su altri resti scheletrici – ci dice il prof. Introna - facevano supporre che le ossa in esame potessero avere una consistenza simile a quella del cartone bagnato».
Si decise di effettuare una preliminare analisi specifica della densitometria ossea (DEXA) e il compito fu affidato al Prof. Giuseppe Rubini, direttore della Medicina Nucleare del Policlinico Universitario di Bari.
Non poche – ci dicono i prof. Introna e Rubini - furono le difficoltà e le complessità da affrontare.
Anzitutto come poter valutare una struttura ossea al di fuori di un corpo umano stante la taratura di lettura dell’apparecchio, utile per i viventi ma non per singole ossa, peraltro di piccole dimensioni come il frammento di costola in questione.
L’apparecchiatura densitometrica di ultima generazione, in dotazione della Medicina Nucleare del Policlinico di Bari, permetteva di valutare la densità minerale ossea mendiate l’utilizzo di raggi X a doppia energia filtrata che definisce i tessuti, l’aria e l’osso. I pochissimi studi presenti in letteratura di paleoradiologia indicavano che l’analisi di singole ossa poteva essere risolto mediante l’immersione dell’osso in un liquido che avrebbe simulato lo spessore dei tessuti molli.
Ma farlo, avrebbe costituito un rischio per la reliquia del Santo. Dopo numerosi tentativi nei mesi antecedenti, invece della immersione dell’osso nel liquido, si tentò di sovrapporre contenitori plastici contenenti liquidi di differente densità. Il risultato non fu soddisfacente. Pertanto l’equipe del Prof. Rubini, in sostituzione del materiale liquido, ideò e realizzò, dopo vari tentativi, uno specifico supporto asciutto in plexiglass radiotrasparente, di idoneo spessore, tale da poter vicariare l’assorbimento dei raggi effettuato dai liquidi in cui avrebbe dovuto essere immersa la reliquia. Peraltro il supporto, dimensionato per la reliquia, fu realizzato in maniera tale che l’esame potesse essere eseguito con successo senza minimamente danneggiare la reliquia.
Altra difficoltà era rappresentata dalla mancanza di qualsiasi altro riferimento scientifico. I pochi studi presenti in letteratura erano stati effettuati su femori e vertebre isolati. Questa volta invece bisognava valutare la densità ossea di un frammento di 13 cm della IX costa, evento mai occorso in precedenza. Pertanto tutti gli studi preparatori furono effettuati utilizzando, come campione di confronto, un frammento di costa recente, dimensionalmente analoga, appartenuta in vita ad un soggetto maschile di circa 60 anni, senza note patologie scheletriche, appartenente alla collezione di 180 scheletri noti presente nell’Istituto di Medicina legale diretto dal prof. Introna.
Durante la scansione furono adottate molteplici accortezze per proteggere un osso così importante. Dopo varie acquisizioni, furono eseguite delle analisi semi automatiche per il calcolo della densità minerale ossea della reliquia da sola e comparata con la costa di riferimento. Dalle analisi sono emersi dati che mostrano un’aumentata densità del frammento sacro, correlabile con le note patologie scheletriche riportate in letteratura del Santo. Questa aumentata densità però è anche la causa della sua estrema fragilità.
«In pratica – concludono i due studiosi baresi - nella costa era incredibilmente ancora presente la componente minerale ma si era persa la componente biologica, così come, d’altra parte, c’era da aspettarsi. Nel tessuto osseo di un soggetto vivente la contemporanea presenza sia le fibre collagene che funzionano da robusta impalcatura elastica, che di cristalli di fosforo e calcio, documentato da un buon contenuto minerale, conferiscono solidità e rendono lo scheletro molto resistente. Il venir meno delle fibre collagene dopo la morte, con il passare dei secoli, ha invece reso le ossa molto fragili in quanto prive di elasticità, sia pur resistenti. Un po’ come il vetro che è fragile e resistente nello stesso tempo. Lo stato di conservazione delle ossa del Santo risultò assolutamente inaspettato. Un vero e proprio evento che non trova giustificazione alcuna nella letteratura. Un vero e proprio evento miracoloso. Nessun problema quindi per l’ipotesi di degrado delle ossa di San Nicola. Certo le ossa del Santo sono fragili, ma i baresi ed il mondo intero, potrà continuare a venerarle per i secoli futuri».