Il disturbo è poco conosciuto, eppure riguarderebbe almeno uno studente in ogni classe. Da nove anni esiste una legge che tutela i ragazzi con queste difficoltà, ma spesso le scuole fanno fatica a utilizzare questo strumento trasformandolo addirittura in una «clava». Il Tar Puglia ha annullato la bocciatura di uno studente dislessico frequentante la quarta classe di un istituto tecnico barese (e non ammesso alla quinta) perché i docenti non hanno rispettato la legge che tutela i ragazzi con tali disturbi.
La dislessia, infatti, rientra in uno dei cosiddetti «Dsa» (disturbi specifici dell'apprendimento): spesso questi ragazzi vengono considerati erroneamente «svogliati» e la loro intelligenza spiccata dà adito a valutazione del tipo «è intelligente ma non si applica». In realtà le cose non stanno così perché questi ragazzi non hanno problemi cognitivi e sono vivaci, socievoli e creativi.
Per questo, nel 2010 è stata varata una norma che prevede strumenti a tutela dei ragazzi e della stessa comunità scolastica. Grazie a tale legge, sono previsti appositi Pdp (Piani didattici personalizzati) mediante i quali il ragazzo è integrato nel programma ordinario delle lezioni, cui partecipa con strumenti compensativi o dispensativi.
Che vuol dire? Nel primo caso, lo studente può essere aiutato con supporti tecnici o di altra natura, mentre con le misure dispensative, l’alunno è escluso da talune attività (ad esempio le interrogazioni sono programmate o le verifiche scritte sono fatte in maniera differenziata e così via). Tutto questo è oggetto di verifiche nel primo e nel secondo quadrimestre per consentire eventuali modifiche o integrazioni dello stesso Piano didattico: tali «check», è bene ribadirlo, non sono un mero adempimento ma aiutano lo studente a integrarsi e completare il ciclo di studi e non sentirsi un diverso rispetto ai compagni.
Tutti passaggi che fanno parte di un iter amministrativo, talvolta considerato un onere (più che un supporto) dai docenti del Consiglio di classe, tenuti a redigere un apposito verbale – anche alla presenza dei genitori – sia in sede di stesura del Pdp che nella sua successiva verifica periodica.
Il Pdp è uno strumento attivabile direttamente dalla scuola senza alcun supporto medico (pur essendo necessaria una documentazione che avalli tale scelta) proprio perché il legislatore ha inteso regolamentare tale attività per cui non serve un docente di sostegno ma solo alcune «misure» di organizzazione e programmazione dell’attività scolastica.
Eppure, come rileva il Tar (I sezione, presidente Orazio Ciliberti, estensore Giacinta Serlenga) nella sentenza con cui ha accolto il ricorso dello studente, assistito dall'avvocato Luigi Renna di Trepuzzi (rappresentante dell'Associazione italiana dislessia), tutto questo non è avvenuto. Se fossero stati rispettati i parametri di legge, si sarebbe evitato di scaricare sul ragazzo «tutto l'onere delle sue difficoltà», si legge nella decisione dei giudici, e inoltre si sarebbe potuta coinvolgere la famiglia.
A conferma di una superficialità nella gestione del caso, la circostanza - rilevata dai giudici amministrativi - che nel corso del consiglio di classe del 19 marzo scorso vie erano spazi di intervento proprio perché a quella data «i risultati conseguiti dall’alunno non erano stati ritenuti affatto fallimentari».
Da qui la decisione di annullare la decisione della scuola di non ammettere il ragazzo alla quinta classe.