Martedì 28 Ottobre 2025 | 05:54

Lupara Bianca nel Barese, due condanne a 30 e 14 anni per l’occultamento di cadavere di Biagio Genco

Lupara Bianca nel Barese, due condanne a 30 e 14 anni per l’occultamento di cadavere di Biagio Genco

 
Isabella Maselli

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Isabella Maselli

Lupara Bianca nel Barese, due condanne a 30 e 14 anni per l’occultamento di cadavere di Biagio Genco

foto Luca Turi

In tre invece assolti invece «per non aver commesso il fatto». Genco scomparve da Altamura nel 2006, il corpo non è mai stato ritrovato

Mercoledì 10 Settembre 2025, 18:15

11 Settembre 2025, 09:17

Due condanne e tre assoluzioni per l’omicidio del 32enne Biagio Genco, ucciso ad Altamura il 17 novembre 2006. Il suo corpo non è mai stato ritrovato ma a quasi 19 anni dalla scomparsa i suoi presunti assassini sono finiti alla sbarra. Al termine di un processo celebrato con il rito abbreviato, il gup ha condannato Giuseppe Antonio Colonna a 30 anni e il boss «pentito» Mario D’Ambrosio a 14 anni di reclusione. Assolti «per non aver commesso il fatto» gli altri tre imputati per i quali la Dda di Bari aveva chiesto la condanna a 30 anni: Michele D’Abramo, Giovanni Sforza e Nicola Cifarelli, difesi dagli avvocati Raffaele Quarta, Nicola Martino e Giovanni Moramarco.
Secondo l’accusa, quel pomeriggio Genco fu condotto «con l’inganno» in auto nelle campagne di Altamura da due persone - tra cui l’ex boss defunto, Bartolomeo D’Ambrosio, fratello di Mario - e fu colpito a distanza ravvicinata da tre colpi di fucile esplosi da Colonna (assistito da Giuseppe Giulitto) che agì «con il supporto logistico» di alcuni complici «che poi provvedevano a spostare e a nascondere l’auto della vittima, il cui cadavere non è stato mai ritrovato». Secondo il gup non ci sono prove sufficienti per ritenere che i complici di Colonna e del boss fossero i tre co-imputati.
D’ambrosio, mandante e allora a capo dell’omonimo clan, «avrebbe commissionato e partecipato all’omicidio per agevolare l’attività mafiosa del proprio gruppo criminale, con il quale la vittima, pur avendone fatto parte, era entrato in contrasto sì da progettare a sua volta un attentato ai danni dello stesso capo clan».
Le indagini sulla morte di Biagio Genco, partite poco dopo la sua scomparsa nel 2006, hanno avuto un punto di svolta solamente nel febbraio 2023. Anni fa era stata processata (poi assolta dopo 5 gradi di giudizio) un’altra persona, Giuseppe Bruno, che in realtà quel giorno fu solo un ignaro testimone oculare dell’esecuzione mafiosa (imputato per false dichiarazioni al pm, la sua posizione è stata stralciata perché nei suoi confronti il giudizio resta sospeso fino alla sentenza sul delitto di cui lui - secondo l’accusa - avrebbe fornito una ricostruzione falsa).
Quando due anni fa i presunti autori dell’omicidio e del successivo occultamento di cadavere sono stati arrestati, il gip ha riconosciuto la duplice aggravante della premeditazione e metodo mafioso, ritenendo che l’omicidio di Genco «può essere assimilato a una vera e propria operazione di stampo militare, che ha richiesto un’attenta preparazione e una pianificazione complessa, mediante l’utilizzo di una pluralità di soggetti pronti ad adescare la vittima, a tendere l’imboscata, a occultare il cadavere, a prelevare l’auto della vittima e a fornire supporto agli esecutori dell’omicidio». Nel processo si erano costituti parti civili i genitori di Genco, il Ministero della Giustizia e la Regione Puglia che dovranno essere risarciti dai due imputati condannati. Le motivazioni della sentenza si conosceranno tra 90 giorni.

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