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Dal linguaggio violento alla violenza politica

 
Massimo Brancati

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Massimo Brancati

Dal linguaggio violento alla violenza politica

Quanto accaduto a Melfi è solo l'ennesimo tassello di un mosaico nel quale le azioni di vandalismo nascondono una deriva pericolosa: avversari che si trasformano in nemici da silenziare e spaventare

Lunedì 14 Giugno 2021, 16:04

Squadre di picchiatori contro lavoratori in sciopero. È accaduto un paio di mesi fa in provincia di Milano. La cultura distorta del dissenso sfocia in queste scene, alimentata dalla convinzione che chi non la pensa allo stesso modo sia da punire, condannare, strigliare. Il confronto civile è il ricordo sbiadito di un approccio che sembra non appartenerci più, bersagliati come siamo da messaggi mediatici, soprattutto televisivi, in cui la sopraffazione è regola, dogma, espressione di successo.

La violenza si esplicita in vari modi, anche negli atti vandalici come quelli perpetrati ai danni del circolo di Melfi (Potenza) del Partito democratico, preso di mira l’altra notte da ignoti barbari. Al di là dell'appartenenza politica, chi ha a cuore le sorti della democrazia ha il dovere di condannare apertamente l'episodio e di mobilitarsi. Non si può restare in silenzio o far passare l’accaduto come il risultato dell'apatia mista a noia capace di annebbiare la ragione di chi si sente ai margini della società. L'attacco a un partito può indicare l'esistenza, nella galassia dell'estremismo, di persone che hanno scelto la violenza come metodo di lotta politica. È pericoloso. Inquietante.

Non va sottovalutata la gravità di questi comportamenti. Saranno pure – come diceva l'ex ministro Pisanu - «a bassa intensità eversiva», ma chi spacca le finestre, chi imbratta i muri con scritte e minacce, chi sfida le istituzioni cercando di far passare il messaggio che si può infrangere la legge senza essere puniti, ha un passo spedito verso l'aggressione fisica dell'avversario. Ce lo insegnano il passato, la storia del nostro Paese, gli anni di piombo: il salto di qualità verso la lotta armata non è uno scenario improbabile. Soprattutto in questo difficile periodo in cui il precariato della ragione fa il paio con quello della condizione in cui si trova un segmento sempre più ampio di popolazione, tra disoccupazione, incertezza, malessere, disagio. Il tutto condensato nella paura per un presente difficile e un futuro da decriptare.

L'assalto a circoli e sezioni di Pd o Fratelli d'Italia, solo per citare gli ultimi casi analoghi, può essere figlio dell'antipolitica, sempre più dilagante in un quadro partitico dai contorni sempre più fluidi, ma anche l'esasperazione di una competizione che si fonda, solo apparentemente, su ideologie ormai divenute impalpabili. La verità è che è esclusivamente la violenza a muovere i fili, mascherandola in convinzioni, posizioni e approcci. Quella violenza che si annida in ogni anfratto della società, che arma le parole contro il ministro o il sottosegretario di turno (i lucani Speranza e Moles, di recente, vittime di minacce), che carica la bomboletta spray per pasticciare pareti e porte, che inculca la follia distruttiva in giovani e meno giovani.

Quanto accaduto a Melfi è solo l'ennesimo tassello di un mosaico nel quale le azioni di vandalismo – come sostiene il segretario regionale di Basilicata della Cgil, Angelo Summa - nascondono una deriva pericolosa: avversari che si trasformano in nemici da silenziare e spaventare, comportamenti che richiamano metodi fascisti e delinquenziali. Contesto alimentato dalle aggressioni verbali a cui spesso assistiamo nei dibattiti politici in televisione, dove l'insulto e l'offesa travalicano le stesse argomentazioni divergenti. Tra le parole e i fatti il confine è sempre sottilissimo. Lo abbiamo dimenticato in un Paese che della violenza politica ha conosciuto i riflessi più tragici. Proviamo a ricordarcelo: il linguaggio pubblico improntato all’odio, all’attacco contro la persona e non contro le idee, può sfociare in gesti sconsiderati. L’abitudine a trattare chi è contrario al tuo modo di pensare come un barbaro da eliminare con ogni mezzo ci riporta a un passato che deve restare impresso nella nostra memoria. Perché non accada mai più.

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