Se prendiamo per buono – e non c’è motivo per dubitarne – il dato diffuso nei giorni scorsi dal Censis, secondo cui l’80% della popolazione approva la stretta anti-Covid del governo, non possiamo fare a meno di domandarci: contro chi protesta il centrodestra? Contro la gran parte italiani? Il Censis non è uno dei tanti istituti di sondaggi a cui spesso s’affidano i leader della stessa opposizione per contestare la legittimità dell’attuale maggioranza di governo e invocare un ribaltone parlamentare in nome di un presunto sostegno popolare. Si tratta, piuttosto, dell’autorevole Centro Studi Investimenti Sociali, fondato del 1964 dal sociologo Giuseppe De Rita, riconosciuto come fondazione nel 1973. E dunque, dobbiamo ritenere - fino a prova contraria – che la sua rilevazione sia attendibile e veritiera.
È singolare che le forze populiste e sovraniste possano incorrere in questa contraddizione demoscopica. Ma probabilmente ha ragione il disegnatore Pillinini quando distingue, in una vignetta apparsa recentemente sulla Gazzetta, tra chi vuole fare la campagna vaccini e chi fa piuttosto campagna elettorale. Cioè tra chi cerca di contrastare l’epidemia e chi soffia sul fuoco dell’insofferenza per raccogliere consensi. Vedremo alle prossime elezioni quanto potrà rendere questa strategia in termini di voti.
Per il momento, non possiamo che affidarci allo “stellone d’Italia” nell’attesa di una pronuncia del Parlamento sulla riforma del Mes, il controverso meccanismo europeo di stabilità, impostato nel 2011 dal governo Berlusconi di cui Giorgia Meloni era ministro della Gioventù, contestato ora sia dalla destra sia da una parte dei Cinquestelle. Mentre il Quirinale agitava lo spauracchio delle elezioni anticipate, in caso di una crisi di governo, il presidente Conte ha ostentato sicurezza sulla sua permanenza a palazzo Chigi, fidando sulla tenuta della maggioranza e sull’appoggio dei “nuovi Responsabili”. In questa occasione, non si trattava di decidere se chiedere o meno l’accesso dell’Italia ai fondi del Mes sanitario, bensì se approvare o meno una riforma europea del patto salva-Stati che non obbliga né impegna in alcun modo il nostro Paese a richiederlo.
Nel frattempo, la pandemia continua ad accrescere le distanze fra ricchi e poveri in un mondo che diventa sempre più ingiusto e instabile: un’élite di 2.153 miliardari detiene una ricchezza superiore al patrimonio di 4,6 miliardi di persone. In Italia, tre miliardari – Giovanni Ferrero (industria dolciaria), Leonardo Del Vecchio (occhiali) e Stefano Pessina (prodotti farmaceutici) – sono più ricchi di sei milioni di poveri, pari al 10% della popolazione (Rapporto “Time to care” – Fondazione Oxam). Oltre al triste bilancio delle vittime e dei contagi, prima o poi dovremo fare quello delle disuguaglianze economiche e sociali che il coronavirus ci lascerà.
Sarebbe interesse anche dei più ricchi, dunque, che i poveri fossero meno poveri: per vivere tutti in una società più equa, solidale e pacifica. Non è infondata perciò la proposta lanciata dal Fatto Quotidiano, condivisa dal premier Conte e sostenuta da Beppe Grillo sul suo blog, per operare un prelievo fiscale del 2% sui patrimoni oltre i 50 milioni di euro. Una misura che sarebbe utile a reperire risorse, senza accendere ulteriori debiti a carico delle generazioni future e per ridurre – appunto – le disuguaglianze, riequilibrando così i rapporti all’interno della società fra i più facoltosi e i meno abbienti.
In diversi Paesi europei, i governi hanno deciso di adottare misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza abitativa provocata o aggravata dagli effetti del Covid. L’esecutivo socialista portoghese, per esempio, prima ha regolarizzato tutti gli immigrati e poi ha dichiarato guerra alla crescita incontrollata di Airbnb, la piattaforma online per gli affitti brevi che hanno messo in crisi il settore alberghiero. Ora, con il calo del turismo internazionale prodotto dalla pandemia, il premier António Costa vuole incentivare l’assegnazione di queste case ai ceti più poveri a prezzi calmierati.
Piuttosto che disquisire su come sarà il Natale 2020, rattristato purtroppo dall’incubo dell’epidemia, potremmo prendere esempio allora da Papa Francesco che – dopo aver annullato la tradizionale cerimonia pubblica dell’Immacolata in piazza di Spagna, a Roma, per evitare assembramenti – ieri mattina presto è andato a pregare da solo sotto la statua della Madonna. Mentre sembra invece che i problemi principali per noi siano quelli dello shopping, delle vacanze e dello sci. In fondo, la nascita che celebriamo avvenne in una grotta e in una mangiatoia. E se questa volta la festeggeremo all’insegna dell’intimità e della sobrietà, forse riusciremo meglio a coglierne il senso più profondo. Ma fa specie sentire tanti laici che (giustamente) si opposero all’inserimento di un richiamo alle “radici cristiane” nella Costituzione europea, protestare oggi contro l’invito dell’Ue a non andare a messa il 24 o 25 dicembre, e a seguirla magari in tv, rinunciando ad affollare le chiese per non alimentare il contagio e fare il bis di Ferragosto.
Eppure, si continua a discutere e a litigare su tutto: le norme dell’ultimo Dpcm, i “colori” delle regioni e gli spostamenti tra i comuni, il Mes, la cabina di regia per il Recovery Fund e i manager, la riapertura delle scuole e i vaccini che non arrivano. Negli ospedali si moltiplicano intanto i casi di aggressione a medici e infermieri, gli “eroi” della prima ondata. E a Roma, si organizza via social addirittura una rissa notturna al Pincio, al grido del “me ne frego” collettivo. “Strani questi italiani”, recita un aforisma del filosofo Benedetto Croce: “Sono così pignoli che in ogni problema cercano il pelo nell’uovo. E quando l’hanno trovato, gettano l’uovo e mangiano il pelo”. È un’osservazione su cui conviene riflettere. Ma non vale soltanto per l’epidemia da coronavirus.