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L’evoluzione di un premier arrivato dal Gargano

 
ROBERTO CALPISTA

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ROBERTO CALPISTA

Il presidente del Consiglio incaricato, Giuseppe Conte

Il presidente del Consiglio incaricato, Giuseppe Conte

Giuseppe Conte, spuntato dal nulla, in poco tempo ha imparato a destreggiarsi nell’infido mondo della politica italiana

Lunedì 07 Settembre 2020, 14:54

L’ultima stoccata l’ha riservata a Mario Draghi, il rivale che scala i sondaggi (seri) e gli si piazza col fiato sul collo: «È stanco». In mezza giornata, tra feste e forum, ha recuperato un’estate di strategici silenzi: l’endorsement a Sergio Mattarella, che rivedrebbe al Colle per un altro settennato; l’avviso a Salvini-Meloni di non farsi illusioni, perché se pure i giallorossi, i rossi e i gialli, perdessero in tutte le Regioni, il governo non si tocca. Soprattutto non si tocca lui.

Pure quando Trump gli storpiò il nome in Giuseppi non fece una piega, pettinatissimo era, pettinatissimo restò. Conte da Palazzo Chigi è un raro esempio di evoluzione della specie politica contemporanea, in tempi in cui i leader di partito sono impegnatissimi a farsi del male.

Pugliese metà del Subappennino, metà del Gargano, è spuntato dal nulla, da un cappello magico la cui proprietà ora tutti si intestano tra i grillini. Timido in apparenza, apparecchiato sempre a punto, nella sua «prima vita» ha dovuto prendere le misure a due calibri da novanta, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che gli suggerivano-ordinavano, cosa dire, dove dirlo e quando.

Poi s’è fatto coraggio, ha pesato l’eventuale concorrenza, e ha rialzato la testa. 

Nelle trattative con l’Europa il presidente del Consiglio ha ottenuto più di quello che ci si aspettava. Molto di più. È una vittoria della nostra politica della trattativa ad oltranza che prende gli avversari per stordimento, ma è anche una vittoria personale di chi aveva iniziato come piccolo leader di un Paese dal debito pubblico enorme, ricattabile, per poi diventare punto di riferimento di un’area, quella mediterranea, che con la pandemia ha pagato il prezzo più elevato in termini di contagi e ripercussioni economiche. È la vittoria di un leader in apparenza «grigio», ma capace al momento giusto di battere i pugni sul tavolo e di giocare le sue carte.

Eravamo messi talmente male in Italia che appena è arrivato il perfetto sconosciuto, s’è pensato al tarocco, al «tanto dura poco». Giuseppe Conte è sembrato anonimo. Pochi si sono accorti che stava silenziosamente prendendo le misure ed ora ha la forza di chi ha molti nemici che devono, necessariamente, essere anche i suoi migliori amici. E, consapevole, non abbandona l’idea del partito personale, ma attende sulla riva del fiume.

Zingaretti, tra un ultimatum e una dichiarazione d’amore, lo adora, pur sapendo che il Pd dovrà vivacchiare di compromessi. I decreti sicurezza - che da mesi «domani cambiano» - sono ancora nei cassetti, con buona pace di quel che resta della sinistra al governo. Sul Mes si traccheggia e il prof di Volturara si permette il lusso di contraddire, con affetto, anche le raccomandazioni che arrivano da Mattarella.

Eppure, non un’era geologica fa, ma lo scorso anno - prima e subito dopo la folle stagione del Papeete - Giuseppe Conte doveva solo essere una persona seria, elegante, di buone maniere e scrupolosa, l’importante che la gente non lo notasse troppo.

Poi la gente se n’è accorta. Soprattutto con gli ormai mitici Dpcm, quando il premier si è trovato impelagato in una delle più terribili catastrofi degli ultimi settant’anni. Ha parlato sempre con schiettezza. È stato chiaro, sincero, deciso, talvolta anche duro. È apparso stanco e provato, il premier che non sbraita, che non si sottrae alle proprie responsabilità. E che chiede scusa quando sbaglia, partendo dal presupposto che in tema Covid-19 di errori ne sono stati fatti molti.

Conte ricorda, per certi aspetti, un altro pugliese al tempo esperto nel verniciare le convergenze parallele, uno che guidava i processi politici, anziché subirli. Sarà un caso ma è passato con disinvoltura dall’alleanza con Salvini - demolita in modo azzardato dallo stesso leghista - a quella con Zingaretti, Speranza e, soprattutto, l’ex nemico numero 1: Matteo Renzi. Sarà un caso - e non solo cortesia istituzionale -, ma quando il Cavaliere è incappato nell’abbraccio rovinoso della malattia, il premier è stato il primo a chiamarlo.

Ora arriva l’autunno e come spesso accade in Italia, sarà caldo. Il virus assassino riprende vigore, in un Paese che risulterebbe straziato da un nuovo lockdown. Non sappiamo cosa accadrà nei prossimi mesi, ma si sa con certezza su cosa potrebbe scivolare rovinosamente il premier. E lo sa lui: la scuola. Se non diverrà un «discoteche-bis», la concorrenza per ora si metta l’animo in pace. 

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