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Si discute di Palazzo Chigi ma si pensa al Quirinale

 
Giuseppe De Tomaso

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Giuseppe De Tomaso

Si discute di Palazzo Chigi ma si pensa  al Quirinale

Se dipendesse dagli italiani, non ci sarebbe storia per la partita del Quirinale, di fatto già iniziata un anno e mezzo prima del fischio d’inizio. Sergio Mattarella verrebbe riconfermato a larga maggioranza senza se e senza ma

Martedì 09 Giugno 2020, 14:13

Se dipendesse dagli italiani, non ci sarebbe storia per la partita del Quirinale, di fatto già iniziata un anno e mezzo prima del fischio d’inizio. Sergio Mattarella verrebbe riconfermato a larga maggioranza senza se e senza ma. Ma siccome l’Italia è una repubblica parlamentare e siccome niente è più impronosticabile, nei giochi capitolini, della gara per il Colle, nessuno potrebbe scommettere a cuor leggero sull’esito della sfida, anche perché le «variabili» vecchie e nuove sono, in questa materia, più numerose delle stelle in cielo.

Intendiamoci. Se Mattarella dovesse lasciar trapelare, o, conoscendo la sua proverbiale riservatezza, non dovesse lasciar trapelare la disponibilità al bis, non sarebbe facile per partiti e gruppi politici obiettare alcunché su un suo secondo settennato. L’attuale Capo dello Stato ha interpretato alla lettera il mandato costituzionale. È intervenuto quando la voce della suprema carica dello stato veniva richiesta da più parti. Si è ritratto quando cessava, diciamo, lo stato d’eccezione e non si ravvisava più alcuna necessità di supplenza o di sollecitazione. Di conseguenza la rielezione di Mattarella rientrerebbe nella logica delle cose e, almeno in teoria, non dovrebbe trovare ostacoli in tutto, o quasi, l’arco parlamentare.

Ma il Quirinale è il Quirinale, l’unica sede istituzionale la cui influenza è cresciuta progressivamente nell’Italia repubblicana. Tanto è vero che oggi il sistema politico italiano somiglia a una veste double face: parlamentare nelle condizioni ordinarie, presidenziale nei periodi di crisi. Il che rende la dimora che fu dei papi e dei sovrani (d’Italia) più contesa dell’irresistibile Elena prima e durante la guerra di Troia.

Cosicché, mentre oggi, a leggere i giornali, si direbbe che sia Palazzo Chigi il chiaro oggetto del desiderio di rivali, alleati e avversari di Giuseppe Conte, in realtà il vero oggetto del desiderio è un altro, assai più alto, politicamente e topograficamente. Anzi, lo scontro su Palazzo Chigi serve a nascondere, o a camuffare, i posizionalenti, i colpi bassi preventivi che già caratterizzano la lunga vigilia che culminerà nella scelta dell’inquilino del Quirinale.

Oltre a Mattarella, il totonomi comprende, per ora, Giuseppe Conte, Mario Draghi, Dario Franceschini, Paolo Gentiloni, Romano Prodi, David Sassoli. Ma sicuramente la lista si allungherà (per poi restringersi, alla fine come una fisarmonica), anche, perché nel frattempo spunteranno altri outsider.

Inutile dire che chi si trova a svolgere un ruolo istituzionale parte avvantaggiato, non foss’altro perché può liberare un posto di rilievo. La qual cosa non guasta mai. E però l’esperienza dovrebbe insegnare che non c’è pianificazione (con merce di scambio) che tenga, anche per il Colle, dove è valido sempre l’antico detto di casa (epoca dei pontefici): chi entra papa esce cardinale.

Intanto, sotto i riflettori e sotto le diffuse ambizioni prequirinalizie si trova Palazzo Chigi. Al presidente Conte va riconosciuta un’abilità manovriera del tutto insospettata in chi non proviene dai ranghi di partito. C’era uno scoglio insidioso quanto un iceberg sulla navigazione del premier: le elezioni regionali. Al presidente del Consiglio conveniva rinviare l’appuntamento elettorale ad autunno inoltrato, meglio se in piena sessione finanziaria. Di sicuro non conveniva, a lui, votare a luglio. Troppi i rischi di ricadute politiche successive: di solito ogni test elettorale, in Italia, favorisce o provoca scollamenti al governo. E oggi il clima politico è tutt’altro che rassicurante.

Si voterà, quasi certamente, a fine settembre. Conte avrebbe voluto ottobre o novembre, comunque, avrà pensato, meglio settembre di luglio. In politica, è notorio, un problema rinviato equivale a un problema mezzo risolto. E poi. Conte è il primo a sapere che risiedere a Palazzo Chigi al momento della partenza del Gran Premio per il Colle equivale a scattare in pole position in una corsa tra i bolidi di Formula Uno. Conservare questo status di partenza significa, per il presidente del Consiglio, poter partecipare, con possibilità di successo, alla competizione chiave dell’intera politica nazionale.

Ovviamente, la condizione economica del Paese non sarà irrilevante sia per il futuro prossimo del governo sia per gli sviluppi della nomination quirinalizia. L’unica cosa certa è che le turbolenze non mancheranno, semmai cresceranno di intensità e non solo per i postumi economici del generalizzato lockdown di questi mesi. Il Quirinale è una meta troppo desiderata per indurre i suoi aspiranti conquistatori a correre senza ricorrere a trabocchetti più o meno palesi. Prepariamoci dunque a questo scenario post-estivo o post-elettorale: sulla carta ci si contenderà il timone di capo del governo, nei fatti ci si precontenderà lo scettro di capo dello stato.

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