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La distanza dalle lezioni delle lezioni a distanza

 
Sergio Lorusso

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Sergio Lorusso

scuola

Il distanziamento sociale obbligato ha aperto nuovi scenari nel mondo del lavoro e in quello dell’istruzione

Mercoledì 08 Aprile 2020, 17:30

Smart working. E-learning. Lavoro agile. Didattica a distanza. Ciascuno può scegliere l’espressione originale o quella adattata all’italiano che più gli aggrada. E, naturalmente, che riguarda il suo status: impiegato, insegnante, datore di lavoro, studente. Parole che fino allo scoppio dell’emergenza Coronavirus erano sconosciute ai più ed appannaggio degli addetti ai lavori sono diventate all’improvviso di uso comune, mandando in soffitta (con pochi rimpianti) espressioni passe-partout come “narrazione”, “resilienza” o “il tema è”. Ogni epoca, del resto, ha le sue.

Questioni terminologiche a parte, il distanziamento sociale obbligato ha aperto nuovi scenari nel mondo del lavoro e in quello dell’istruzione, destinati a superare l’orizzonte temporale incerto che ci separa dalla scoperta del vaccino in grado di silenziare il micidiale virus. Con un grande punto interrogativo: queste modalità alternative di interazione didattico-lavorative sostituiranno quelle tradizionali o, invece, le affiancheranno secondo sinergie ancora tutte da costruire?
La domanda non è da poco, se si considerano le implicazioni non soltanto dal punto di vista dell’efficienza di scuola e lavoro, ma anche – e soprattutto – delle relazioni umane. Tra le controindicazioni riconosciute, infatti, vi è l’isolamento sociale – proprio quello che stiamo patendo oggi nostro malgrado – e lo spezzarsi della linea di separazione tra vita personale e studio o lavoro.

Quante amicizie, quanti amori sono nati sui banchi di scuola o nelle aule universitarie? Certo, senza tali strumenti tecnologici scuole e università avrebbero dovuto chiudere, non solo fisicamente, per mesi. Come se fossimo in tempo di guerra. E il danno per milioni di studenti sarebbe stato enorme e incolmabile. Attenti però, non si tratta di strumenti perfettamente interscambiabili: learning significa apprendimento, è teaching che vuol dire insegnamento. Il punto d’osservazione è agli antipodi, lo studente nel primo caso, l’insegnante nel secondo.
L’insegnante. La parola deriva da in e signum. Imprimere, lasciare un segno, un’impronta. Ecco. In fondo è quello il compito di chi insegna. Non riversare secchiate di nozioni sui malcapitati alunni (per questo basterebbero i libri, sicuramente più esaurienti), ma aiutarli a muoversi nella vita che verrà, con il corredo di conoscenze trasmesse. E questo vale, seppur con diverse modalità, in ogni grado di istruzione, dalla scuola primaria all’università. Sigmund Freud diceva che i mestieri più difficili in assoluto sono – nell’ordine – il genitore, l’insegnante e lo psicologo.

Pochi giorni prima che l’epidemia di Covid-2 esplodesse si è conclusa sui Rai1 la seconda serie de L’amica geniale, tratta dall’omonima tetralogia di Elena Ferrante. Tra i personaggi (solo apparentemente) minori c’è la maestra Oliviero, insegnante di Elena e Lila alle elementari, che segue Lenù per una vita dandogli consigli su cosa studiare e prestandole libri, bene prezioso a quei tempi. La ragazza contraccambia l’affetto andandola a trovare quando si ammala. Suggestioni d’antan? Chissà.
Ognuno di noi conserva nei suoi ricordi la figura di un maestro, di un insegnante, di un professore che ha lasciato la sua impronta, che ha tracciato il suo segno indelebile come fosse la Z di Zorro. Potrebbe fare altrettanto un docente a distanza? Ne dubitiamo. L’e-learning va bene, a patto che diventi un supporto all’insegnamento tradizionale, che abbia una funzione integrativa e a cui ricorrere in maniera esclusiva solo in situazioni d’emergenza come quella che stiamo vivendo. I peana intonati da poco più di mese per ogni dove in favore del lavoro agile (ma poi perché agile? O intelligente, secondo la traduzione letterale del termine inglese? Il lavoro tradizionale è goffo, impacciato, lento, ottuso, deficiente?) andranno ascoltati con circospezione.

Intanto i riti del nostro iter formativo quest’anno saranno celebrati in maniera differente. Si è già iniziato con le sedute di laurea in modalità telematica e relativo contingentamento di amici e familiari ammessi a partecipare (virtualmente) a quello che è il traguardo della vita. Si proseguirà con la maturità (salvo improvviso harakiri del coronavirus). Niente notte prima degli esami, come quella «di lacrime e preghiere» cantata da Antonello Venditti.
Ma oggi si tratta di stato di necessità. E domani?

L’arte suprema dell’insegnante, affermava Albert Einstein, è quella di «risvegliare la gioia della creatività e della conoscenza». Tutto il contrario – e non per colpa degli insegnanti – delle nostre scuole ed università iper-burocratizzate, fagocitate da un altro virus, quello delle scartoffie, assai più resistente del coronavirus e per il quale antidoti e vaccini non sono ancora stati messi a punto. Il timore è che subisca una mutazione trasformandosi nel virus del distanziamento dall’insegnamento. E dagli altri.

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